Lunedì 4 luglio si è tenuto, nella cornice dello Sherwood Festival, il dibattito “Solidarity from below against the war. Il supporto internazionale del sindacalismo di base alle reti autorganizzate ucraine”. Inizialmente previsto in second stage, viste le condizioni metereologiche avverse è stato spostato in uno stand coperto. Il dibattito ha visto come protagonisti alcune/i rappresentanti dalla Rete Internazionale di Solidarietà e Lotta che hanno partecipato alla carovana di solidarietà che, a cavallo tra lo scorso aprile e maggio, ha portato a Leopoli un carico di aiuti umanitari destinato al network ucraino “Social Movement”. Carovana – come ha spiegato Sergio Zulian nell’introduzione – che aveva non solo come obiettivo quello di consegnare aiuti alla popolazione invasa dall’esercito russo, ma anche la costruzione di un punto di vista sulla guerra che non si limiti a leggerla come una gigantesca scacchiera in cui le superpotenze si fronteggiano.
Dall’Italia (Adl Cobas e Centri Sociali del Nord-Est), alla Polonia (OSS Inicjatywa Pracownicza), dalla Bosnia (l’attivista Medina Gunic) all’Ucraina (Vitaliy Dudin del Sotsialniy Rukh-Social Movement), la discussione non ha tradito le premesse, addentrandosi sulle tante contraddizioni aperte da questo conflitto, ma anche sui molti aspetti che vengono tralasciati dalla narrazione mainstream.
Il primo a parlare è proprio Vitaliy Dudin, portavoce di Sotsialniy Rukh-Social Movement, una rete di associazioni e sindacati ucraini che da diversi anni si occupa di diritti sociali e climatici. Inizia il suo intervento criticando fortemente il governo ucraino, definendo la stessa Ucraina come un paese governano da oligarchi, con una situazione sociale molto tesa e con salari bassissimi. Altre criticità di cui ci parla il portavoce riguardano i diritti umani calpestati dal governo e l’agibilità che hanno i partiti di estrema destra, nonostante il loro margine di manovra sia comunque più ampio di quello concesso ai movimenti di sinistra russi. Con l’invasione la situazione è poi chiaramente peggiorata, anche per via della spietatezza delle forze militari russe, rendendo difficile organizzare lotte sociali sotto le bombe e in un clima di nazionalismo.
Ed è proprio questo il punto di cui ci parla Vitaliy, della difficoltà di combattere su due fronti, da un lato contro l’invasore russo e dall’altro contro la propria oligarchia nazionale a trazione neoliberale. L’obiettivo è arrivare ad avere un’Ucraina libera sia dalle forze di occupazione sia dall’imperialismo occidentale. Per arrivare a ciò, una scelta politica radicale, ma che sarebbe di viatico, è la cancellazione del debito pubblico del Paese. L’Ucraina ad oggi è una nazione talmente indebitata che i lavoratori pubblici non percepiscono lo stipendio da mesi e, nonostante ciò, il ministro delle finanze ucraino ha chiaramente dichiarato che cancellare il debito ridurrebbe la credibilità del paese nei confronti dei mercati. La cancellazione del debito potrebbe davvero conferire un grandissimo aiuto alla popolazione, permettendo l’accesso a medicinali o una parziale ricostruzione delle abitazioni distrutte dai bombardamenti.
La parola è passata poi a Ignacy Jozwiak attivista del sindacato sociale polacco OSS Inicjatywa Pracownicza, che innanzitutto ribadisce la volontà di non narrare la guerra dalla prospettiva degli imperi che la combattono, ma di raccontare la sofferenza, il dolore, i bombardamenti dal punto di vista della popolazione civile. Popolazione che è stata costretta a incrementare le migrazioni verso paesi come l’Italia e la Polonia, dove gli ucraini e le ucraine sono costretti a fare lavori ancora più sottopagati di quelli che svolgevano in precedenza.
Molte persone hanno però fatto il tragitto inverso, cioè sono tornate in Ucraina quando è iniziata la guerra, per combattere contro l’invasione. In questo contesto si inserisce la storia di Fedor, che si era trasferito dall’Ucraina alla Polonia iniziando ad occuparsi delle relazioni per il sindacato OSS Inicjatywa Pracownicza con le altre realtà della rete internazionale. All’inizio della guerra Fedor – che tra le altre cose si occupava della questione del debito- è tornato in Ucraina arruolandosi nelle Unità di Difesa Territoriale, descritte come la risposta dal basso alla difesa contro l’invasione messa in campo dall’esercito nazionale.
A seguire l’intervento di Pavel Nowozycki sempre di OSS Inicjatywa Pracownicza – che ci racconta di come il suo sindacato sia riuscito ad attivare la preesistente rete internazionale al fine di avere un’esperienza collettiva “sul campo” e rafforzare le fila dei contatti con le associazioni di base ucraine in tempo di guerra. Pavel è entrato anche nel merito della carovana di fine aprile-inizio maggio e della necessità di riportare le esperienze della vita quotidiana in Ucraina ai tempi dell’invasione russa.
Chiude gli interventi del sindacato polacco Magda Malinovska, che alcuni mesi fa è stata licenziata dal magazzino di Amazon a Poznan e in cui favore si è attivata una campagna internazionale. Magda parla della particolare forma di resistenza che è nata nella città di Kryvyj Rih che si trova nel centro-est dell’Ucraina ed è la sede del maggiore insediamento minerario e siderurgico del Paese. Per la presenza della miniera e dell’adiacente impianto siderurgico si tratta di un obiettivo sensibile per la Russia, le cui truppe si trovano ora a 70 km di distanza. Chi protegge la città sono operai ed operaie che si sono arruolate nelle Unità di autodifesa. Il sindacato fornisce loro cibo, materiale sanitario e altro per difendersi (materiale protettivo, non armi o bombe), mentre il governo ucraino li ha completamente abbandonati.
Magda ci parla di come il sindacato autonomo stia provando a portare avanti nei luoghi di lavoro e nel tessuto sociale, quell’intervento radicale e non gerarchico che lo caratterizzava prima dell’inizio della guerra. Il contesto specifico è quello delle miniere che da molti anni sono state privatizzate e il mercato attorno a cui ruotava la produzione è quello internazionale. Allo scoppio del conflitto i manager sono scappati in Inghilterra e Polonia e hanno lasciato da soli i lavoratori, che hanno perso qualsiasi forma di protezione e diritto. Questo è sentito come una forma di tradimento sia da parte dei “padroni” che del governo ucraino. «I lavoratori sono quindi stretti tra il dramma dell’invasione russa e la speculazione dei capitalisti e per noi è un imperativo sostenerli, per un legame di classe, l’unico realmente possibile in questo momento».
Prende poi la parola Medina Gunic, attivista di origine bosniaca che vive ora in Austria. Lei racconta di quanto la carovana sia stata un’esperienza importantissima, e di come si inserisca all’interno delle tante iniziative di solidarietà internazionale che sono nate negli ultimi decenni, per sviluppare relazioni e legami all’interno del mondo del lavoro. «La campagna costruita dalla rete di solidarietà in realtà è iniziata da 40 anni, dai primi scioperi scoppiati in Inghilterra negli anni ’80 con la chiusura delle miniere. In quell’occasione i lavoratori bosniaci hanno raccolto fondi e inviato ai lavoratori inglesi. Nel 1992, quando è iniziata la guerra in Bosnia, i minatori inglesi non hanno dimenticato la solidarietà ricevuta anni prima e hanno organizzato diverse carovane di aiuti umanitari. Da allora il supporto internazionale autonomo non si è mai interrotto».
Medina si sofferma poi sul parallelismo tra l’attuale guerra in Ucraina e quella in Bosnia degli anni ’90. Con commozione racconta alcuni di come «nel primo giorno dell’assedio di Sarajevo sono state sganciate circa 3000 granate, e da allora è stato così per molto giorni. I cecchini hanno ucciso chiunque, donne e bambini. In totale cinquanta milioni di tonnellate di artiglieria sono state sganciate su Sarajevo». Paragona poi il massacro di Bucha a quello di Srebrenica, avvenuto nel luglio 1995 e tuttora l’evento più drammatico che ha toccato l’Europa dal Dopoguerra in poi, accaduto tra l’altro sotto gli occhi delle Nazioni Unite.
Dalla fine della guerra in Bosnia le forze internazionali hanno preso il controllo e la Costituzione che ne è derivata implica la segregazione etnica nel Paese. Tutto ciò ha spalancato le porte del capitale occidentale, che ha dettato le condizioni economiche e sociali nel Paese. Ancora oggi più della metà della popolazione non ha accesso alle cure e il tasso di disoccupazione supera il 60%.
Per Medina il rischio per Ucraina è che accada ciò che è successo in Bosnia, per cui organizzare la solidarietà internazionale dei lavoratori serve per opporci all’imperialismo russo, ma anche a quello occidentale.
Chiudono il dibattito gli interventi di Monica Tiengo e Federica Toninello, di Adl Cobas e centri sociali del Nord-Est. Secondo Monica l’esperienza della carovana, e lo stesso dibattito, sono fondamentali per capire da che parte stare: «quella della gente comune, degli artisti, degli attivisti, degli studenti che abbiamo incontrato durante la carovana». Ci aspettano dei lunghi tempi di sostegno al popolo ucraino, ma dobbiamo ricordare che non esiste solo quella guerra, ed è nostro dovere stare accanto a tutti i popoli che subiscono guerre e oppressioni e che – in forme diverse – provano a resistere, dalla Palestina alle comunità indigene in Messico, fino ad arrivare ai curdi, che per ’’ennesima volta subiscono lo scotto di decisioni prese dalle grandi potenze.
Bisogna inoltre ampliare la prospettiva intersezionale perché, come tutte le guerre dimostrano, la fase che succedono il conflitto spesso sono ancora peggiori, con lo strascico di miseria e devastazioni ambientali che le accompagnano. Infine occorre avere sempre uno sguardo sulle tante “guerre dimenticate”, ma anche sulla militarizzazione dei nostri territori, sostenendo battaglie come quella che si sta dando a Coltano, contro la base militare
Chiude Federica, secondo cui il filo rosso che ha unito discussione di stasera è la solidarietà che unisce le lotte, «che ci ha permesso di riportare nei nostri territori la posizione di chi sta subendo l’invasione russa. Questa solidarietà è anche portare al di fuori queste idee, contro l’invasione russa e contro l’invasione del capitale». C’è una popolazione che sta subendo tutto questo, c’è una comunità che si sta organizzando, al di là del governo ucraino. Creare reti di solidarietà significa anche creare reti di cura per chi sta subendo psicologicamente questa guerra, in particolare per le donne.
Viene infine citata l’iniziativa che è stata fatta a Venezia lo scorso 15 maggio, quando attiviste e attivisti hanno occupato la sede della Venice V-A-C Zattere, fondazione di arte contemporanea fondata da Leonid Mikhelson, oligarca russo strettamente legato al Cremlino, presidente del cda e maggiore azionista di Novatek, la seconda azienda di gas della Russia. Il claim dell’iniziativa è “contro gli imperi, contro le guerre; costruiamo autorganizzazione e reti di solidarietà dal basso”, che è lo stesso che ha animato il dibattito.
Infine, la Rete Internazionale di Solidarietà e Lotta sta lavorando all’organizzazione di una seconda carovana, che partirà a settembre. Obiettivo è portare ulteriori aiuti e supporto e tornare a vedere lo stato delle cose, per riportare ancora una volta le esperienze e le idee di coloro che stanno vivendo la situazione della guerra sulla propria pelle direttamente e senza mediazioni.
Per supportare l’acquisto di beni e medicinali da portare alla popolazione è possibile fare una donazione al seguente IBAN:
IT77 O 07601 12000 00100 2669719
Intestato a Associazione per i Diritti dei Lavoratori – COBAS.
Causale: Contributo carovana Ucraina (solidarietà dal basso)