Sorveglianza digitale per salvare il paese e il mondo

Riccardo Donat-Cattin

Comedonchisciotte.org

Stiamo piano piano digerendo il fatto che in questo secolo il bene più ambito sul mercato siano diventate le nostre informazioni. Nel Novecento, almeno dal dopoguerra, è stato il petrolio. Si poteva dire che chi controlla il petrolio controlla il mondo. Non che oggi il petrolio non valga più, ma lo scorso 20 aprile il prezzo di uno dei tre principali tipi di petrolio, il WTI,  è calato del 305%, finendo sotto zero, a -37,6 dollari a barile. Cioè non sanno letteralmente più dove metterlo, e sono pronti a pagarti 37 dollari per tenerti un barile. Siamo impazziti.

Le informazioni personali sembrano essere il nuovo motore dell’economia mondiale. Il 5g e gli scontri su chi lo controlla sembrano orientare le strategie politiche delle potenze mondiali. E in questi giorni tutto questo parlare di tracciamenti, di app da scaricare, di antenne 5g da montare sui tetti, qualche perplessità la alimenta. Poi quando leggo che il capo della super task force di esperti che ci tirerà fuori da quì è l’ex ammistratore delegato di Vodafone vado un po’ in crisi.

Ricordiamoci cosa ci insegna la shock doctrine: i periodi di crisi, di emergenza, sono i più fertili per il potere per piazzare leggi che non potrebbero essere votate altrimenti, se non in archi di tempo molto lunghi. Oggi i gruppi più potenti del mondo sono affamati delle nostre informazioni personali, e c’è uno shock in corso.

Abbiamo visto dopo l’11 settembrea che la NSA ha sfruttato la legislazione d’emergenza per ascoltare tutto ciò che dicevamo al telefono. Abbiamo visto che ci si può inventare storie di armi di distruzione di massa per occupare l’Iraq. Oggi c’è uno shock in corso, e la battaglia nel mercato globale, oltre che per sapere cosa diciamo e cosa scriviamo,  si fa per conoscere dove siamo precisamente, e come stiamo di salute.

Colao e Immuni

Stefania Maurizi ha lavorato su Wikileaks e collaborato con Snowden per la pubblicazione delle sue informazioni, e in questi giorni ha lanciato più allarmi su twitter su ciò che sta avvenendo, citando diverse fonti.

Il Guardian ha riportato il 25 marzo che la GSMA, un organismo internazionale di compagnie telefoniche che opera per settare gli standard del mercato, sta lavorando per la creazione un sistema di condivisione di dati globale che possa tracciare le persone nel mondo, “come sforzo per combattere il Covid-19”. Finora l’utilizzo di traccianti di telefoni cellulari è stato in mano ai governi nazionali come USA, India, Iran, Polonia, Singapore, Israele e Sud Korea. La GSMA rappresenta gli interessi di 750 operatori e venditori di telefonia mobile e aiuta le compagnie a settare standard internazionali. Un portavoce del GSMA ha dichiarato che l’organismo non è attualmente coinvolto nella creazione di alcun sistema globale di tracciamento. Ha poi rifiutato di commentare sulla possibilità che ci fossero progetti in tale direzione. Il direttore della GSMA, Mats Granryd, ha dichiarato “Ci stiamo impegnando con gli operatori, i responsabili politici e le organizzazioni internazionali di tutto il mondo per esplorare soluzioni mobili di big data e Intelligenza Artificiale valide per combattere questa pandemia, nel rispetto dei principi di privacy ed etica.”

Gleen Greenwald, il principale collaboratore per la pubblicazione dei file di Snowden, aveva riportato sul Guardian nel 2013 informazioni riguardanti i dati che Verizon forniva alla NSA, quotidianamente, su tutte le chiamate del sistema gestito dalla compagnia telefonica. Verizon è la prima compagnia telefonica esposta dai file Snowden.

Torniamo a Colao. Non è stato solamente amministratore delegato di Vodafone per dieci anni (non Vodafone Italia, ma Vodafone e basta, 25 paesi, 46 miliardi di fatturato all’anno): è rimasto nei record di Vodafone per una delle più grandi operazioni di borsa tra le compagnie di telecomunicazione, vendendo a il 45% delle azioni di Verizon, che erano in possesso di Vodafone, sempre nel 2013. Attualmente, udite udite, Vittorio Colao è membro del consiglio di amministrazione di Verizon. Si sa che essere consigliere di una compagnia da 126 miliardi di dollari l’anno di fatturato e essere a capo di una task force di esperti per salvare un paese da un’epidemia sono ruoli che possono essere coperti part time. E non sono sicuramente in conflitto d’interessi.

Il giorno stesso in cui il Guardian dichiara che GSMA, di cui Verizon fa parte, si sta organizzando per creare un sistema di condivisione globale delle informazioni delle compagnie telefoniche, Colao pubblica un editoriale sul Corriere della Sera in cui spinge per la sorveglianza digitale in Italia per uscire dalla crisi Covid-19. Nelle settimane successive silenzio, fino al 16 aprile: l’app per il tracciamento c’è e si chiamerà Immuni. Commenta Stefania Maurizi: “Mi chiedo come la politica possa non rendersi conto di quello che si sta preparando, perché la sproporzione di Potere tra ministro Paola Pisano e un Vittorio Colao è immensa, oggi comanda chi ha i dati personali. E il “povero” politico non è che un fuscello di fronte a manager che in un minuto possono sapere TUTTA la vita, morte, miracoli, salute di tutti noi. Politici inclusi.

Il 17 aprile Maurizi riprende il discorso, commentando il ruolo del Centro Medico Santagostino nello sviluppo dell’app: “Glissare sul Centro Medico Santagostino e minimizzarlo come “rete di poliambulatori” è a dir poco disonesto. Il Centro Medico Santagostino è una creazione di una società di venture capital. Io vi avverto con tutta l’urgenza possibile. Quello che si sta preparando, neanche tanto gradualmente, è il passaggio dei dati sanitari degli italiani a entità market-oriented che consegneranno il nostro Sistema Sanitario agli Amazon, ai Google, ai Palantir.”

L’allame continua il 20 aprile: “Non provo alcuna soddisfazione a dire: ve l’avevo detto. Le cose si stanno mettendo malissimo con la ‪sorveglianza digitale contro il Covid. Quello che rischiamo è uno scenario senza precedenti. […] Sarà un punto di non ritorno. Non servono Bob Woodward e Carl Berstein per capire ENORMI interessi economici e di intelligence che premono per soluzioni centralizzate. O scatta una grande mobilitazione dell’opinione pubblica italiana contro queste soluzioni devastanti, o sarà la catastrofe.”

Che poi le app neanche servono per il Covid

E mentre il 20 aprile il politecnico di Torino pubblica una lettera firmata da oltre 400 tra professionisti e personaggi pubblici per le preoccupazioni riguardanti la compresenza tra tracciamento dei contatti e democrazia, in Regno Unito l’Ada Lovelace Institute, partner dell’Alan Turing Institute e della Royal Society, pubblica una revisione delle evidenze disponibili,  facendo i conti su come stanno andando le app di tracciamento. Ecco i risultati:

  1. Imprecisione nel rilevare il “contatto”
  2. Imprecisione nel rilevamento della distanza
  3. Vulnerabilità alle frodi e agli abusi

Questi studiosi parlano da un paese, il Regno Unito, che è all’avanguardia per l’utilizzo delle tecnologie digitali per il controllo. La loro conclusione è che “attualmente non vi sono prove sufficienti per sostenere l’uso della tracciatura digitale dei contatti come tecnologia efficace a sostegno della risposta alla pandemia. I limiti tecnici, le barriere che ostacolano un’efficace diffusione e gli impatti sociali richiedono maggiore considerazione prima che la ricerca digitale dei contatti venga impiegata.” E la conclusione di Stefania Maurizi è ancora più chiara: “È molto semplice: vuoi dare i miei dati sanitari più intimi e mia localizzazione e contatti minuto per minuto a società meno che trasparenti? Altro che “not in my name”. Dico: “over my dead body””.

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