Marco Dimitri è morto ieri, a Bologna, ancora non sappiamo come. Gli articoli usciti a botta calda risvegliano vecchie collere mai sopite, con la loro ambiguità, quel modo di usare il termine «setta», quell’insinuare che forse, chissà…
Paradossalmente, l’articolo più sobrio lo abbiamo letto sul Resto del Carlino, il giornale che con più zelo diede risalto alla sua persecuzione.
Marco è morto nel giorno del suo cinquantottesimo compleanno e nel ventiquattresimo anniversario dell’inizio del processo che gli triturò la vita.
Un processo basato su accuse false, testimonianze gravemente inattendibili, narrazioni – quelle sull’Abuso Rituale Satanico, SRA – che in molti paesi indagini e ricerche scientifiche avevano già derubricato a mere fantasie di complotto.
Un processo che si concluse con l’assoluzione in primo grado e in appello. La Procura rinunciò al ricorso in Cassazione. Gli imputati furono anche risarciti per l’ingiusta detenzione.
Marco si era fatto quattrocento giorni al carcere della Dozza, molti dei quali in isolamento, per impedire che altri detenuti lo aggredissero. In carcere tentò il suicidio tagliandosi le vene. Fuori i media martellavano e lo dipingevano come un mostro, un corrispettivo italiano del belga Marc Dutroux, il «mostro di Marcinelle». Proprio nell’estate del ’96 Dutroux fu catturato e divenne famigerato in tutto il mondo.
Il processo ai Bambini di Satana fu “cugino” – e forse ispiratore, se non altro per il clima creato – di quello istruito poco tempo dopo, a poche decine di chilometri di distanza, contro i presunti «diavoli della Bassa Modenese». Su questo non possiamo che rinviare all’inchiesta Veleno di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli.
La narrazione di fondo era la stessa: esiste una potente e ramificatissima organizzazione di pedofili satanisti, dedita a stupri rituali e sacrifici umani, che gode di protezioni in alto loco, e di cui fanno parte anche uomini di potere.
Chi ha seguito quel che è successo in America negli ultimi anni riconoscerà i tratti della «Cabal» di cui parlano i seguaci di QAnon. Non è un caso. Quelle storie italiane svoltesi negli anni Novanta – ma che non sono solo degli anni Novanta – sono diramazioni della genealogia tematica di QAnon.
QAnon è un’evoluzione del «Satanic Panic» che investì l’America degli anni Ottanta e che attraversò l’Atlantico all’inizio del decennio successivo, dilagando anche in Europa come «emergenza-pedofilia». In realtà era un ritorno in Europa, il continente dell’«accusa del sangue», della caccia all’eretico e della caccia alle streghe, delle quali il «Satanic Panic» non era che l’ennesima sintesi. Non sono «americanate». Quella merda l’abbiamo inventata noi.
Cosa sanno di tutto questo gli imbecilli che ora sui social agitano un cappio postumo, scrivendo che Marco andava impiccato all’epoca, che la scampò allora ma finalmente gli è toccata, e lo chiamano «mostro» come un quarto di secolo fa, e altre amenità?
Dopo anni di lavoro, WM1 aveva appena finito di ricostruire questa genealogia transatlantica, nel libro La Q di Qomplotto che uscirà a marzo e che a questo punto sarà dedicato a Marco, è davvero il minimo. Tre capitoli si svolgono nell’Emilia Paranoica degli anni Novanta e ricostruiscono il “dittico” Bambini di Satana / Diavoli della Bassa. Lì si parla anche del ruolo che avemmo noi.
Venticinque anni fa, in una città dove regnava la voglia di linciaggio, dove quegli indagati erano già ritenuti colpevoli, dove se entravi in un bar – non c’erano ancora i social network – due volte su tre sentivi qualcuno augurarsi che Marco fosse ucciso in carcere, noi del Luther Blissett Project ci impegnammo a tirare su una campagna di solidarietà, coinvolgendo altre realtà della vita cittadina e, in seguito, ottenendone grane giudiziarie tutte nostre. Usammo tattiche più consuete e altre inaudite, dall’appello pubblico alle beffe mediatiche. Facemmo una controinchiesta su come i media locali avevano imbastito il caso.
La morte di Marco, non ancora spiegata, ci colpisce duro.
Lo sappiamo, è solo la prima scossa di uno sciame sismico di ricordi che durerà chissà quanto.
Nel 2000 Marco Dimitri fu il primissimo webmaster di questo sito. Solo uno dei tanti motivi per cui salutarlo su Giap è doveroso.
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