Tra vita e sacrificio: la rivoluzione di Lorenzo Orsetti

Marzo è un mese di contrasti, un passaggio dal freddo dell’inverno al tepore primaverile che, per chi vive in Kurdistan, evoca tanto la luce del Newroz, il capodanno, quanto i ricordi dolorosi della lotta. Porta con sé la memoria di alcuni eventi storici: la rivolta contro Saddam, il massacro di Halabja, l’esecuzione di Qazi Muhammad. Ma sono anche quei giorni in cui si commemorano alcuni martiri, tra cui spiccano i nomi di Lorenzo Orsetti, Anna Campbell e Alina Sánchez.

La parola “martire” – Şehîd in curdo – non è legata solo alla religione, come spesso si è portati a pensare, ma è un concetto che il movimento curdo ha rielaborato, lo ha svincolato dalle connotazioni tradizionali e gli ha attribuito un significato più profondo. Şehîd Namirin! – “I martiri non muoiono mai!” – sono due semplici parole spesso evocate davanti a una lapide, nei cortei e in mezzo al fronte. Sono le stesse urlate davanti al nemico in ogni sua forma, con lo sguardo al cielo e il simbolo della vittoria tra le mani. È un concetto che si distacca profondamente dalla cultura occidentale, ma che disegna il passaggio dalla vita al sacrificio, dal volto al ritratto, dall’umano al simbolico. 

In una guerra che sembra non finire mai, i martiri aprono la strada alla vita, poiché la loro morte non segna la fine, ma l’alba di una nuova esistenza: quella dei testimoni, di coloro che non vengono dimenticati. Il sacrificio non è legato a come si muore, ma a come si vive, come si lotta e per cosa si sceglie di lottare.

Lorenzo Orsetti, conosciuto come Tekoşer Piling, incarna questa essenza. Aveva tanti sogni e una determinazione immensa, spinto da una passione che non ha mai conosciuto confini. Nato a Firenze nel 1986, la sua ricerca di un mondo più giusto lo portò ad abbracciare la causa curda. Nel 2017, si unì alle YPG per combattere Daesh e difendere la rivoluzione del Confederalismo Democratico nel nord-est della Siria. “Non fu una scelta impulsiva”, come ama spesso ripetere Alessandro, suo padre, ma una decisione ponderata, frutto della profonda convinzione che la solidarietà internazionale fosse un’arma potente contro le ingiustizie globali.

Durante l’invasione turca di Afrin nel 2018, Lorenzo restò in prima linea, consapevole dei rischi, ma incrollabile nelle sue convinzioni. “Nonostante la possibilità di andarsene, abbiamo deciso di difendere la città e la popolazione”, scriveva in una delle sue lettere. 

L’Accademia per la Modernità Democratica lo ricorda come “un rivoluzionario nella mentalità, nel cuore e nelle azioni: una persona meravigliosa nel senso più profondo del termine”.

La sua morte, il 18 marzo 2019 a Baghouz, ultima roccaforte dello Stato Islamico, segnò la fine di una battaglia, ma non quella del suo messaggio. Il suo testamento, diffuso postumo, rimane un potente invito a non arrendersi: “Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai!”

La sua figura non è solo quella di un combattente, ma incarna l’idea che la rivoluzione trascende l’aspetto bellico e Lorenzo rappresenta una resistenza che, seppur costretta nel corpo, non poteva essere domata nello spirito. È diventato anche un modello per generazioni di ogni età. Il coraggio, l’ardore e la passione di Orso sono gli stessi che si ritrovano negli occhi dei ragazzi e delle ragazze che, a Torino, hanno fondato la Comune della gioventù Internazionalista, un luogo che ne porta il nome oltre che i valori.

Paola spiega che la Comune risponde all’annoso problema di “cercare, tra le tante cose, anche un posto nel mondo”. Fondare una Comune significa ricalcare il nobile obiettivo di “organizzare la vita”, cercando di incanalare la lotta politica — ispirata dai principi del Confederalismo Democratico — in ogni aspetto della quotidianità, costruendo nuovi modi di relazione tra le persone e gli spazi. È come una famiglia, dove si incarna l’essenza di una comunità ampia ed eterogenea, ben lontana dal suo concetto borghese, che si limita a un nucleo ristretto come unica forma di realizzazione.

Carlo sottolinea come l’educazione sia il più grande strumento di autodifesa, specialmente quando è strettamente connessa con l’organizzazione e l’azione. “Ho fatto parte di vari percorsi politici”, dice, “la rabbia ci fa sentire soli, ma cercare di andare oltre l’individualismo aiuta a superare il senso di insoddisfazione. Lorenzo Orsetti questo lo aveva capito, ed è stato capace di far emergere come, pur in contesti diversi, il nemico resti lo stesso.”

La Comune della gioventù internazionalista di Torino ha anche uno spazio autonomo, che riscopre la memoria di Alba Rossa, partigiana piemontese che organizzò la resistenza delle giovani donne durante la Seconda Guerra Mondiale. Elisa e Giada creano un legame tra il concetto di martiri e partigiani, superando barriere spaziali e temporali. Rileggono la resistenza italiana in chiave internazionalista: “In uno stato di guerra, bisogna fare distinzione tra solidarietà e internazionalismo, perché la prima non implica una visione di cambiamento globale, mentre il secondo si traduce in un’alleanza tra popoli per combattere le ingiustizie su scala mondiale.”

Ad oggi la Siria rimane ancora quel paese lacerato da conflitti interni e da interventi esterni, con la resistenza curda sempre minacciata dalle offensive turche e dalle instabilità politiche. Tuttavia, le figure dei combattenti caduti continuano a rappresentare l’emblema della lotta contro l’oppressione e un monito sulle sfide ancora da affrontare nella ricerca di giustizia e libertà.

Öcalan aspira alla pace quando il mondo parla di guerra e il PKK invita a deporre le armi mentre altri cercano il riarmo. Questa non è resa, ma una difesa incondizionata fino alla fine. Partecipare alla lotta di liberazione di altri popoli, costruire una società plurale, significa rompere le catene del sistema e cercare nuove prospettive di emancipazione.

Il sacrificio rivoluzionario è, dunque, anche un atto di rifiuto: rifiuto dell’ingiustizia, della sottomissione, della disumanizzazione. In una guerra asimmetrica come quella curda, dove il nemico è spesso più potente e meglio armato, il sacrificio diventa una dichiarazione di dignità e autodeterminazione. Non è solo una lotta per la sopravvivenza fisica, ma per la preservazione dell’identità culturale, linguistica e storica. In questo senso, il sacrificio è un’affermazione radicale di esistenza contro il tentativo di annientamento.

Lorenzo Orsetti, Anna Campbell e Alina Sánchez sono protagonisti di un percorso collettivo. I loro nomi, i loro volti e i loro ideali continuano a vivere nei canti, nei racconti, nelle bandiere sventolate durante le manifestazioni. Il sacrificio trasforma l’individuo da essere umano a simbolo, e il simbolo diventa un faro per chi continua a combattere.

Il sacrificio, pur essendo un atto di grande sofferenza, non è mai privo di speranza. La memoria dei martiri è un invito a non arrendersi mai, a continuare a credere che un mondo diverso sia possibile. Questo è il senso profondo di Şehîd Namirin: non è solo un grido di dolore, ma una promessa di rinascita, una dichiarazione che la lotta continua fin quando all’orizzonte ci sarà la libertà.

Ogni rivoluzione cammina su un filo sottile, sospesa tra l’aspirazione di mantenere puri i propri ideali e la necessità di fare compromessi per sopravvivere. È una tensione costante, una danza pericolosa tra purezza e adattamento. Il Contratto sociale dell’Amministrazione autonoma democratica della Siria settentrionale e orientale ne è un riflesso imperfetto e audace: non una resa né un dogma, ma una rivoluzione che respira e lotta, viva e pulsante.

Affrontare le contraddizioni non è solo un atto di coraggio politico, ma il segno di un cambiamento che rifiuta di fossilizzarsi. Non si tratta di evitare il taglio netto col passato, ma di accettarlo, di imparare a convivere con la ferita e lasciarle plasmare nuove forme di resistenza. Il rischio non è il fallimento, ma l’incapacità di trasformarsi senza spegnere la fiamma originaria.

Per tutte e tutti. 

Per Ivana, Alina, Anna. 

A Orso, Lorenzo, Tekoşer Piling.

“E se questa fosse la mia ultima poesia, ribelle e triste, lacera ma completa, scriverei solo una parola: compagno.” (Accademia per la Modernità Democratica)

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