Trasparenti e in movimento, come l’acqua

Vent’anni fa l’insurrezione popolare nella città di Cochabamba contro la privatizzazione dell’acqua pubblica, scrisse una delle pagine più memorabili di lotta del continente. Dal 7 al 10 aprile del 2000 infatti avvenne l’atto conclusivo di quella che passerà alla storia come “la guerra dell’acqua”. Contro il tentativo di privatizzare il bene comune più prezioso, l’acqua appunto, la popolazione cochabambina insorse. Le proteste, cominciate nel febbraio dello stesso anno, diventano sempre più radicali con i “guerreros del aqua” che tengono in scacco l’esercito del presidente Banzer. Ad aprile, gli eventi precipitano per la pressione esercitata dal popolo in rivolta. 

Riproponiamo la storia di quei giorni, con le parole di uno dei protagonisti di quella incredibile stagione di lotta, il portavoce della Coordinadora de Defensa del Agua y de la Vida, Oscar Olivera.

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7 APRILE 2000

Era venerdì, il governo annunciò che avrebbe fatto un passo indietro e che accettava le richiesta della popolazione contro la privatizzazione del nostro bene comune, l’acqua. Monsignor Tito Solari, ci convocò per una messa nella cattedrale della città, per festeggiare la vittoria. Ci andammo tutte e tutti quelli che poterono entrare in chiesa, con molta stanchezza ma anche con molta allegria per questa comunicazione data a Tito Solari, in una riunione con l’Arcivescovado, con tutte le parti in causa, incluso quelle che avevano promosso la privatizzazione dell’impresa pubblica dell’acqua, la Reyes Villa y Cía.

Erano le 5 di pomeriggio quando ci comunicarono questo, la messa cominciò alle 7 di sera, la piazza puzzava di gas, povere e sudore, i militari vagavano per le strade circostanti, era strana quella presenza militare in piazza.

A pochi minuti dalla messa concelebrata da una ventina di sacerdoti e affollata di gente, mi si avvicinò un prete amico da molti anni, lui non era con gli altri, entrò nella cattedrale dalla strada mi si avvicinò e mi disse all’orecchio: «è tutta una menzogna, ci hanno ingannato, stanno decretando il coprifuoco e vogliono arrestarvi tutti, le auto per portarvi via sono vicine alla porta della chiesa, dovete uscire immediatamente e mettervi in salvo».

Così, comunicai agli altri portavoce della Coordinadora e alla gente che mi stava attorno e uscimmo per la porta della sagrestia verso una stradina secondaria. Mi diressi verso la casa dei miei genitori, erano tre mesi che non andavo a fargli visita, in particolare a mia mamma che era molto ammalata  da qualche anno. Pensai che lì non mi avrebbero cercato e che avevamo già esperienza per affrontare il coprifuoco.

A metà strada, a tre quadre dalla piazza e a 4 dalla casa dei miei genitore, mi prese un caro signore, un amico di nome Rocha; era il primo venerdì di aprile e mi disse: «entra Oscar, stiamo “k’oando”, è il primo venerdì» e mi fermai nella casa del compagno. C’erano vari amici che conoscevo e cominciammo il rituale di ringraziamento e convivenza con la Pachamama.

Dopo pochi minuti accendemmo il televisore per sapere cosa stesse succedendo in quel momento e, casualmente, stavano trasmettendo la perquisizione della casa dei miei genitori da parte di agenti civili del governo che mi cercavano non solo per arrestarmi, ma anche per ammazzarmi. 

Aggredirono i miei genitori, spararono ma non mi trovarono, vidi i miei genitori alla TV denunciando con voce ferma i fatti appena occorsi e ciò mi diede forza nonostante la preoccupazione. Chiamai casa al telefono, la mia voce era bassa per tutti i discorsi fatti dai balconi degli edifici della principale, non mi riconobbero e riattaccarono perché pensavano che erano i servizi di intelligenza del governo banzerista; insistetti e quando mi arrabbiai mi chiesero il soprannome che avevo in famiglia, diedi la “password” e mi dissero di scomparire perché ero in pericolo di vita.

Dovetti restare nella casa del compagno Rocha, il coprifuoco correva veloce, con i militari nelle strade e la gente determinata nelle barricate. Reynaldo è il nome che mai dimenticherò, un giovane avvocato che ha avuto il privilegio, come mi ha raccontato lui stesso, di aver ricevuto il dono, da parte di anziani e saggi indigeni, di stabilire una relazione diretta con la Pachamama, attraverso la coca e altri mezzi ancestrali. Mi porto in una piccola stanza e mi chiese se desideravo sapere quale sarebbe stato il risultato della Guerra del Agua, e gli dissi di sì. 

Arrotolò delicatamente e rispettosamente le fogli sacre di coca sopra un piccolo “aguayo”. Mi disse che la vittoria era il futuro della ribellione del popolo però che sarebbe scorso sangue perché questo potesse avvenire. Era allegro e triste allo stesso tempo sapere questo. Tra le altre cose mi disse se desideravo sapere altro su di me e la mia vita familiare nel futuro e nuovamente gli dissi di si. 

Mi disse che appena sarebbe finita con la vittoria popolare avrei fatto un lungo viaggio al nord. Che avevo quattro figli che mi amavano e che non potevo dubitare della loro fedeltà e della loro enorme preoccupazione per la mia situazione, che non metteva però assolutamente in dubbio le mie conseguenze con il movimento.

Mi disse che mia madre era molto malata, ma che mio padre sarebbe morto prima di lei. E mi disse che questa responsabilità che il popolo mi aveva assegnato nel movimento in difesa dell’acqua, avrebbe cambiato la mia vita, che si avvicinavano altre responsabilità, altre lotte, altri risultati e anche altro dolore e tristezza, ma che il popolo avrebbe camminato senza retrocedere, che ci toccava giocare nel  ruolo che le basi ci avevano assegnato e che non potevamo fallire.

L’8 aprile fu assassinato il giovane Victor Hugo Daza. Il 10 aprile il popolo consolidò la vittoria. Il 15 aprile viaggiavo negli Stati Uniti in un incontro mondiali dei movimenti che protestavano contro le politiche della Banca Mondiale e del FMI, la vittoria del popolo di Cochabamba, fu speranza e ispirazione per altri popoli nel mondo, perché testimoniammo la dimensione politica, economica, organizzativa e umana di questo movimento chiamato la “Guerra del Agua”.

I miei figli, che ora sono sei, non hanno mai smesso di appoggiarmi e conoscono gli sforzi della mia quotidianità e la mia integrità come padre, lavoratore e organizzatore. 

Il 1° marzo del 2001 morì mio padre per un attacco cardiaco, il suo appoggio è stato fondamentale nel mio cammino. Mia madre lo raggiunse il 14 maggio del 2005, mia madre come punto di riferimento permanente e eterno.

Il primo venerdì di aprile è un giorno che non dimenticherò mai, devo la vita e dobbiamo la vittoria al compagno Rocha, a Reynaldo, alla foglia sacra di Coca e alla “K’oa”, alla gente del mio popolo che quella notte e il giorno seguente sconfisse il coprifuoco e mise militari e polizia nel luogo dove dovrebbero stare, nelle loro caserme. 

«18 anni fa cominciammo a dare luce a un nuovo mondo, un nuovo modo di stare insieme nella lotta, di intrecciare le nostre forze e di costruire un cammino comune».

«Furono mesi intensi ed esigenti, giorni e giorni di lotta e di riunioni continue, di occupazioni delle strade e delle piazze, camminando e lottando palmo a palmo contro coloro che sempre ci vogliono esproriare dei nostri sforzi e delle nostre ricchezze per comandare sopra di noi. Il fulmine dell’aprile del 2000 continua a essere vivo nella memoria di molte e molti, siamo noi stessi che possiamo difendere la vita e i regali che ci dona per organizzarci una vita degna. Non dimentichiamo ciò che ottenemmo collettivamente. Non dimentichiamo che fu la nostra capacità collettiva di creare complicità ciò che aprì un orizzonte rinnovato di vita e lotta (Raquel Gutiérrez Aguilar, 2015)».

Così fu il 7 aprile del 2000, così è e così dovrebbe essere, un’altra volta. Non è solo un nostro dovere, è anche nostra responsabilità come guerriere e guerrieri dell’acqua.

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8 APRILE 2000

Era l’8 aprile, è storia, di tutti, non è la mia io semplicemente racconto le azioni del popolo. La mattina di questo giorno non avevo voce, non usciva nessun suono dalla mia bocca e mi chiamavano giornalisti per sapere dove e come stavo. Non potevo rispondere, il saggio compagno Rocha mi disse di masticare “retama” per recuperare la voce.

Masticai per ore e finalmente dalla mia bocca cominciarono a uscire dei suoni che mi permisero di comunicare con la mia gente. Mi chiesero di registrare un messaggio per il popolo, tutti volevano sapere che cosa era successo con i portavoce della Coordinadora. Mi ricordo che al telefono cominciai a pronunciare qualche parola e più o meno dissi: sorelle e fratelli, sono in un luogo sicuro di Cochabamba, in buono stato, commosso per la vostra preoccupazione ma anche colpito dal coraggio della gente nelle barricate che sono rimaste in piedi di fronte ai fucile e alle pallottole dei militari e della polizia. 

Dissi che le nostre uniche armi erano le barricate, qualche palo e qualche pietra, ma soprattutto la nostra indignazione di fronte alle menzogne, al disprezzo dei potenti a cui rispondemmo con l’azione collettiva di donne, uomini, bambine e bambini, giovani, anziane e anziani che ci restituì la fiducia reciproca, che ci permise di perdere la paura. 

Dissi anche che il nostro obiettivo non era solo recuperare l’acqua, non era solo una disputa con il potere criminale dall’alto, per il destino e lo sfruttamento di questo bene comune che ci fu donato dalla Pachamama, ma che ora la nostra lotta era per definire chi avrebbe deciso: il popolo o pochi politici e imprenditori. 

Non potevamo fare un passo indietro o di lato, la nostra lotta aveva un profondo contenuto democratico, perché democrazia in termini semplici per la gente semplice e lavoratrice è: chi decide. 

Sconfiggemmo esercito e polizia, sconfiggemmo il coprifuoco, sconfiggemmo la rassegnazione, l’oblio, l’individualismo e capimmo attraverso la lotta concreta che solo l’azione collettiva, dal basso e da fuori delle istituzioni, renderà possibile un cambio nelle condizioni di vita dei nostri popoli.

Terminai questo messaggio piangendo e i giornalisti mi raccontarono successivamente che anche la gente piangeva nelle barricate, ma piangevano di allegria e siamo stati sopraffatti un sentimento di fratellanza e generosità come mai avevamo sentito.

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9 APRILE 2000

Nella serata dell’8 aprile assassinarono il giovane Victor Hugo Daza e ferirono oltre trenta persone. Cecchini dell’esercito e del governo volevano terrorizzare la gente. Ma la gente non retrocedeva. Si alzarono barricate in ogni porta di casa, in ogni quadra, in ogni isolato, della città e della campagna.

Le barricate non solo mostravano il malcontento sociale per la privatizzazione dell’acqua e le decisioni prese alle spalle del popolo, ma avevano anche un profondo contenuto simbolico. 

Le barricate furono erette con gli utensili della vita quotidiana della gente, coi giochi dei bambini e delle bambine, e questo era un chiaro messaggio che la privatizzazione, l’imposizione il disprezzo e l’inganno non sarebbero entrati nelle case dei cochabambinos perché colpivano gravemente la nostra quotidianità, le nostre forme di convivenza sociale, i nostri territori di costruzione armoniosa con la natura , noi tutte e tutti come parte di lei. 

La morte di Daza, creò un silenzio assoluto nelle strade e si trasformo in una potente forza di indignazione che fu sufficiente per sconfiggere il mal governo, i suoi militari e la sua polizia, il capitale che voleva convertire il sangue della Pachamama in merce. 

La moltitudine si era riconosciuta e rincontrata nelle barricate, si era riconosciuta come uguali, comprese che aveva perso la paura perché aveva recuperato la complicità e sostituito i valori profondi e ancestrali di solidarietà, reciprocità, rispetto e trasparenza, tra gli altri. Questo piccolo spazio di autogoverno, di autonomia, spinto fortemente dal potente sistema comunitario di acqua della campagna e della città, furono la colonna vertebrale della potente forma di organizzazione e mobilizzazione recuperata dal popolo.

Sconfiggemmo la cecità del mal governo e gli facemmo vedere, muovendoci, che Sì, esistiamo. Le pietre e i bastoni sconfissero gas e proiettili, l’indignazione e la visione ancestrale dell’acqua come bene comune dalle campagne permearono i cittadini e sconfissero il capitale transnazionale che voleva trasformare l’acqua in merce.

Li sconfiggemmo e recuperammo la nostra voce di gente semplice e lavoratrice, recuperammo la capacità di decidere, vale a dire recuperammo non solo l’acqua, ma il profondo contenuto di ciò che è la Democrazia, che in termini molto semplici significa, chi decide? Pochi politici e imprenditori? O decide il popolo?

10 APRILE 2000

Le strade piene di gente, di allegria, di forza, di vigore, il governo non ebbe altra possibilità che cercarci per arrivare ad accordi, la decisione popolare era presa: se ne andavano la Bechtel, Edison e Avengoa e si cambiava la legge in base alle proposte dei fratelli Regantes. In altre parole: mai più spoliazione, fuori i saccheggiatori e i politici e imprenditori, vale a dire non credevamo più nella politica e nell’economia del saccheggio.

La sovranità appartiene al popolo dice la carta costituzionale degli stati e qui oggi si compie quanto sta scritto nelle carte. La gente occupò gli edifici dei partiti politici e i capi fuggirono come topi, polizia e militari si rifugiarono nelle loro caserme, il prefetto rinunciò, il sincaco e altre autorità sparirono. Il potere effimero dei los de arriba fu sconfitto dal potere dei los de abajo. Non c’era nessuno nei palazzi e negli uffici. La piazza centrale, le strade erano occupate dai suoi legittimi padroni, tutte e tutti noi, la gente semplice e lavoratrice della città e della campagna, come disse la nostra sorella Raquel Gutiérrez.

Per la prima volta migliaia di donne, uomini, giovani e anziani si sentivano pafroni del proprio destino, avevano recuperato il potere espropriato dai partiti, dai caudillos, dai padroni. Assaporammo in carne, ossa e spirito il nostro potere e questo non lo dimenticheremo mai. Questo facemmo nel nostro aprile, questo dobbiamo tornare a fare, dovrebbero essercene altri di questi aprile.

OGGI

Da quell’incredibile ciclo di lotta, la Bolivia intraprese un nuovo cammino di democrazia che, come successo con l’insurrezione zapatista del 1994, mise al centro dell’agenda politica, i poveri, i diseredati, gli indigeni e i loro diritti come esseri umani. Mise al centro il diritto non solo alla vita ma anche a costruire un futuro di giustizia per tutte e tutti.

Di quel ciclo di lotta, purtroppo, ne approfittarono “unos cuantos politicos” che si innamorarono del potere al punto da scagliarsi proprio contro coloro che avevano innescato quel cambiamento e favorito la loro ascesa.

Oggi di quel ciclo di lotta rimane non solo il ricordo di una grande vittoria ma anche l’insegnamento che è solo attraverso la lotta in collettivo che le teste dei re cadono, che è solo quando i protagonismi sono relegati in secondo piano che le conquiste dei “los de abajo” sono davvero vincenti. 

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¡Gracias Guerreras y Guerreros del Agua! 

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