Un centenario incompreso

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di Stefano Risso, Attac Torino

Oggi, 21 gennaio, cade il centenario della fondazione del PCdI a Livorno

Un centenario che viene ricordato da molti, molto influenti, come parte di una deviazione dalla razionalità della Storia, iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre e infine rientrata nel giusto alveo con i grandi sconvolgimenti geopolitici del periodo 1989 – 1991. Curiosamente proprio i più intransigenti oppositori dell’idea stessa di ogni possibile Filosofia della Storia utilizzano, anche se spesso inconsapevolmente, la categoria della “Giusta Direzione” della Storia. Inconsapevolmente perché le convinzioni più forti sono sempre inespresse; fino a tacerle alla propria personale razionalità.

Nel nostro paese si aggiunge inoltre una specifica ed ingannevole querelle: quella di considerare la separazione tra socialisti e comunisti unicamente come una sciagura di fronte al nascente squadrismo fascista, che ne sarebbe stato l’unico effettivo beneficiario.

A questo punto diventerebbe ovvio considerare questo evento come la prova probante che ci è trovati di fronte ad una deviazione della Storia dal suo naturale e razionale corso. In Italia, secondo voci autorevoli, oggi ridimensionate, lo stesso fascismo italiano sarebbe stato un elemento accidentale di “deviazione”, magari a differenza del nazionalsocialismo tedesco considerato, in modo strumentale e arbitrario, il risultato naturale di un più lungo e radicato processo storico della nazione tedesca. Questa posizione ha influenzato in modo profondamente negativo l’intera storia della nostra Repubblica.

Altri, pochi, si calano negli avvenimenti di cento anni fa con acribia esasperata, quasi con la volontà di identificarsi con una delle specifiche posizioni di quel tempo, allo scopo di trovare la posizione “giusta”, quasi a voler sfidare, contrapponendosi, l’impostazione dominante; senza accorgersi, nella ricerca di una posizione retrospettivamente salvifica, di accettarne le premesse.

Si ha l’impressione che si trascurino, in particolare per il congresso di Livorno, due importanti elementi di contesto: lo scatenarsi dell’”inutile strage”, che nessun liberale ha avuto il coraggio e l’onestà di chiamare con il suo nome, e la dimensione totalmente internazionale degli avvenimenti.

Tempo fa, di fonte a un fac-simile dell’edizione del del Vorwärts[i] del 4 agosto 1914 (con cui il quotidiano socialdemocratico dava notizia del voto del SPD a favore dei crediti di Guerra, giustificandolo con un aberrante contorsionismo intellettuale), un amico tedesco mi disse: “Il giorno più triste del nostro movimento operaio!”.

Non le leggi antisocialiste di Bismark, non l’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, non la presa del potere di Hitler, non l’inizio della Guerra di aggressione hitleriana, non i giorni più cupi della Guerra Fredda; ma quel giorno. Der Tag era stato anche il termine usato dallo stato maggiore prussiano per indicare, l’allora futuro, giorno dell’offensiva contro la Francia. In alcuni luoghi, come in Bulgaria, si pensò addirittura che quell’edizione del Vorwärts fosse una provocazione dell’Ochrana[ii] zarista.

Nel mese di settembre del 1914 su Neue Wege[iii] importante rivista teologica protestane (ci scriverà Karl Barth ed esiste ancora oggi) apparirà una spietata analisi di quel drammatico momento: “In una notte è cambiata l’immagine del Mondo … Lo studioso che ieri esplorava ancora avidamente le forze della natura per lavorare utilmente nell’umanità, l’artista e poeta che nella quieta concentrazione cercava mete umane, che voleva dare forma all’anelito umano; il maestro che dedica tutto il suo ardore ad addestrare i giovani in crescita a diventare combattenti spirituali chiari e felici: tutti loro sono diventati da un giorno all’altro macellai assetati di sangue umano … e domani giaceranno immobili e pallidi sulla terra prima che ci si dimentichi di ieri….fallimento della Civiltà e della nostra coscienza culturale … anche la grande internazionale della classe lavoratrice obbedisce agli ordini nazionali, i lavoratori si uccidono l’un l’altro sui campi di battaglia … La nostra Civiltà ha fatto bancarotta … Anche la Cultura e la Religione sono in bancarotta. Nulla è stato in grado di domare la “bestia nell’uomo” … abbiamo avuto troppa fiducia che la paura razionale della rovina economica potesse piegare la follia dell’imperialismo.[iv] Come finirà tutto? Se la povertà diventa troppo grande, se la disperazione prende il sopravvento, se il fratello riconosce il fratello nell’uniforme di un nemico, allora forse potrebbe ancora venire qualcosa di inaspettato, forse le armi potrebbero essere rivolte contro coloro che spingono le persone alla guerra.” [v]

L’allora semisconosciuto V. J. Lenin colse l’importanza di queste parole e le contrappose al comportamento della maggioranza dei gruppi dirigenti della II Internazionale (con l’eccezione, vale ricordarlo, di quello italiano) esprimendo il proprio sconcerto per il fatto che la condanna incondizionata della Guerra venga, non dal movimento operaio internazionale, ma dal pensiero teologico.[vi] Certo, l’assassinio in Francia di Jean Jaurès[vii] ebbe il suo ruolo.

Quella bancarotta della Civiltà, consumata nell’estate del “14 è stata il vero punto di svolta, di non ritorno; invece nell’Italia di oggi abbiamo dovuto subire l’onta della riabilitazione del cosiddetto “interventismo democratico” e la cialtroneria intellettuale del considerare la Rivoluzione d’Ottobre come un qualunque putsch di un oscuro caudillo sudamericano. Nella comparazione tra bancarottiere e liquidatore fallimentare, la cultura italiana, o forse occidentale, esprime una chiara preferenza per il bancarottiere (affinità di classe?). Dopo aver posto sullo sfondo, per farlo scomparire, l’ingombratene convitato di pietra della colpevole catastrofe dello scatenamento della Guerra nel nostro Paese si tende a guardare al congresso di Livorno in un’ottica prevalentemente italiana. Certo, la specificità di un Partito Socialista che aveva conservato le mani nette di fronte al macello non sarà mai ricordata a sufficienza, a indiscutibile merito ed onore di quanti agirono in quel senso.

Non è un caso che, proprio in Italia, il deputato Guido Miglioli (promotore del sindacalismo bianco nelle campagne ), al congresso fondativo del Partito Popolare a Bologna[viii], propose l’alleanza con i socialisti (benché ancora permeati di vecchio anticlericalismo ottocentesco) in alternativa a quella, poi praticata, con i liberali. La discriminante era vista da Miglioli nella scelta epocale tra Pace e Guerra.

Non possiamo però dimenticare che, dopo il diluvio, si ricostituì un’Internazionale che rimosse la grande colpa dell’aver contribuito al gigantesco fratricidio. Questa rimozione fu il presupposto per il sostanziale allineamento, pur con significative e lodevoli eccezioni, della II Internazionale alla politica del cordon sanitaire contro la Russia Sovietica. Non a caso il termine scissione fu usato a Livorno per indicare l’abbandono del congresso socialista da parte della minoranza comunista; ma anche, talvolta, per indicare la rottura del PSI con la III Internazionale cui aveva precedentemente aderito.

Oggi impera, anche perché incontrastata, una rappresentazione della storia dell’inizio dello scorso secolo come espressione dell’egemonia culturale dei vincitori della Guerra Fredda; siano essi vincitori sul terreno della Geopolitica che su quello dello scontro sociale. Egemonia imperante che tenta di disperatamente di sfuggire al giudizio storico su ormai quasi due generazioni di dominio pressoché assoluto. Di fronte all’orizzonte catastrofico cui ci ha portati tale egemonia abbiamo il dovere di opporre e tramandare una complessità e un valore dell’esperienza storica ben superiore alla sua attuale rappresentazione, denigratoria o riduttiva che sia, per usi strumentalmente propagandistici.

Curiosamente due autori che sono sempre stati contrapposti alla storia comunista ci forniscono stimoli e chiavi interpretative. “Bisogna stare dalla parte degli sconfitti, non fosse che per l’arroganza dei vincitori” ci ricorda opportunamente Albert Camus. George Orwell ci offre lapidariamente la chiave interpretativa dell’attuale riduzione della storiografia a propaganda: “chi controlla il presente controlla il passato, chi controlla il passato controlla l’avvenire”.

[i] Organo ufficiale del Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD)

[ii] Polizia segreta russa in epoca zarista

[iii] Neue Wege: Blätter für religiöse Arbeit , Zurigo

[iv] Chiaro riferimento alle tesi sostenite del libro, allora celebre, The Great Illusion, Norman Angell UK 1910. Il titolo del film di J. Renoir è probabilmente in relazione alle tesi del libro

[v] Friede auf Erde! U. W. Zuericher – Neue Wege settembre 1914

[vi] V. J-Lenin Sotsial-Democrat n. 34 – 5 settembre 1914

[vii] Il 31 luglio 1914

[viii] Nel giugno del 1919

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