Incendi forestali, deforestazione, attività minerarie illegali, allevamento e agricoltura intensiva, privatizzazione delle risorse. In Bolivia le molte facce dell’estrattivismo stanno producendo un ecocidio di proporzioni devastanti mentre sullo sfondo le due anime del MAS, evismo e arcismo, battagliano per il potere senza esclusione di colpi bassi, dimenticandosi di quella Pachamama che a proclami dicono di difendere. Contro questo pericolo decine di organizzazioni popolari e non hanno lanciato la Consulta Popular Nacional por la Vida, con l’obiettivo non solo di fermare gli incendi ma di costruire una forza sociale capace di fermare la discesa verso il baratro.
La situazione è gravissima: secondo un reportage della Fundación Tierra, «gli incendi boschivi del 2024 superano tutti i record storici in aree bruciate e focolai di calore. A livello nazionale sono andati bruciati 10.125.400 ettari, essendo aumentato del 90% rispetto all’ultimo record (5,3 milioni di ettari, 2019)». Una cifra destinata purtroppo a salire non essendo ancora finita la stagione, ma già ora si può affermare che «il 2024 rimarrà nella memoria dei boliviani come l’anno del peggior disastro ambientale avvenuto nella storia» del Paese. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (INE), la Bolivia ha perso 32,5 milioni di ettari di foresta dal 2019 ad oggi. A bruciare non sono solo le aree boschive (il 58%), ma anche terreni di vegetazione non boschiva come pascoli, pianure di bassa vegetazione, savane o zone alluvionali. Soprattutto non vengono risparmiate nemmeno le aree protette che molto spesso cadono vittime degli incendi incontrollati.
Incendi che molto spesso sono dolosi, infatti, come riporta la testata Erbol, «fino all’8 ottobre, un totale di 113 procedimenti penali sono stati attivati dalla Autoridad de Fiscalización y Control Social de Bosques y Tierra (ABT) per aver causato incendi boschivi». Gli incendi dolosi sono però solo la punta dell’iceberg di un problema molto più grande che porta il nome di capitalismo e i cui effetti sono l’ecocidio di intere regioni. Agli incendi infatti si sommano poi la deforestazione, l’attività mineraria illegale che avvelena acqua e aria per le sostanze usate, come il mercurio, e ancora gli allevamenti o l’attività agricola intensiva, con tutto il consumo di risorse che comportano. «L’Amazzonia – sostiene il Cedib di Cochabamba – si trova di fronte a un imminente collasso ecologico e sociale, non solo in Bolivia ma nell’intera regione. Gli estrattivismi (le estrazioni minerarie e di idrocarburi, la monocoltura, l’allevamento) associati alla deforestazione e agli incendi spingono la regione amazzonica a un punto di non ritorno». È di questi giorni inoltre la notizia che il governo avrebbe siglato un accordo con alcune imprese cinesi e russe per lo sfruttamento intensivo dei giacimenti di litio.
Di fronte a questa drammatica situazione, parte da Cochabamba, già teatro della “guerra del agua” vent’anni fa, una proposta politica dal basso, per difendere l’ambiente dall’ecocidio in atto, ma non solo: è la Consulta Popular Nacional por la vida. Un referendum dal basso, senza alcun valore legale ma altamente simbolico e importante perché vuole restituire ai cittadini la parola e l’azione per fermare l’ecocidio superando la delega politica che si è dimostrata inefficace per fermare lo sfruttamento e la distruzione della Pachamama. Il referendum, che si può votare sia materialmente nelle piazze di tutti i nove dipartimenti sia online, pone cinque quesiti cruciali: il primo e più importante è l’abrogazione del pacchetto di decreti e leggi cosiddette incendiarie. Nei successivi quesiti si chiede il parere se le terre bruciate delle medie e grandi proprietà siano restituite alla popolazione fino al loro recupero; si chiede poi se si è d’accordo o meno che l’assemblea legislativa istituisca una “pausa ecologica” fino al recupero delle terre bruciate. Negli ultimi due quesiti infine si chiede se si è d’accordo che lo Stato fortifichi e promuova alternative sostenibili e che aumenti gli investimenti nella difesa dell’ambiente.
«La Consulta Popular Nacional por la vida che presentiamo oggi, non è solo una reazione agli incendi di quest’anno, è una risposta all’ecocidio sistematico a cui abbiamo assistito per (diversi) anni. Ciò che è in gioco non è solo il nostro ambiente, ma i diritti dei popoli indigeni, i diritti umani e in ultima analisi la vita stessa del nostro paese, non possiamo continuare a tollerare un modello di sviluppo estrattivo che si nutre di avidità», ha dichiarato la rettrice della Universidad Mayor de San Andrés (UMSA), María Eugenia García durante la conferenza stampa di presentazione della consultazione. Tra i promotori del referendum anche Oscar Olivera, già “guerrero del agua” negli anni 2000 e oggi parte del collettivo Comunidad del Agua e della Fundación Abril, che approfondisce così il contesto e le motivazioni alla base dell’iniziativa: «La nostra casa comune, la Pachamama, sta ardendo, la stanno avvelenando, la stanno distruggendo e questo non possiamo permetterlo. Per questo è fondamentale partecipare alla Consulta Popular Nacional por la vida, possiamo invertire questa situazione, possiamo mettere nelle nostre mani il destino e il godimento di tutto quello che ci dà la Pachamama con tanta generosità. Non permettiamo che politici corrotti, che imprenditori criminali, che dirigenti complici continuino a recare danno alla nostra casa comune, la nostra Pachamama. Possiamo fare in modo che questo Paese abbia un altro destino e l’unica maniera è partecipare in modo diretto alla consultazione popolare, con il nostro voto, con la nostra azione, con la nostra organizzazione, con la nostra mobilitazione per costruire un Paese con dignità, libertà, allegria e speranza. Abbiamo bisogno della madre terra, della nostra casa comune, il momento di agire è adesso».
Oscar ricorda le similitudini con la forza poderosa degli anni 2000 che vide la popolazione vincere la “guerra dell’acqua”: «i comitati di difesa dell’acqua sono stati e sono forme di potere dal basso, di vita, di autonomia; è quindi un tema politico che lo Stato combatte per toglierci la forza. La consultazione popolare – conclude Oscar – vuole articolare l’indignazione, vuole convertirsi nuovamente in forza sociale perché la sovranità, come dice la Costituzione, è del popolo. Mentre oggi la sovranità è in mano a un gruppetto di parlamentari, di imprenditori, di dirigenti che stanno distruggendo i nostri territori. E questo succede perché non c’è una forza sociale capace di cambiare le cose. Abbiamo quindi l’obbligo e la responsabilità di costruire una forza sociale perché se non abbiamo una voce forte, continueranno a fare quello che stanno facendo, perderemo e i nostri figli saranno condannati. Il nostro Paese non è nato per essere schiavo, è nato per essere libero e sovrano. Non è nato perché ogni cinque anni cambi il governo, sia del colore che sia. Il potere sta in noi tutti, dobbiamo riprenderci questo potere e il primo passo è questa consultazione popolare. Aiutiamoci tra di noi e non perdiamo la speranza, che è l’ultima cosa che possiamo perdere».