Il covid aumenta le disuguaglianze di genere: le donne si fanno carico di molto più lavoro e cura, sono più colpite da povertà e violenza, ed hanno meno voce in capitolo nei luoghi decisionali. Un articolo di Pilar Alvarez uscito venerdì 2 ottobre su El Pais e tradotto da Emma Purgato e Ilaria Ruggiero.
Quest’anno cadeva un anniversario, che però è passato in sordina. Sono passati 25 anni dalla Conferenza di Pechino, il grande appuntamento mondiale sui diritti delle donne, che nel 1995 ha visto la partecipazione di 190 paesi. Cinque lustri dopo, la situazione è migliorata di poco. Nessun paese ha raggiunto la piena egualità di genere, e, secondo stime europee, circa l’80% dei piani non sono stati realizzati. Ancora oggi le donne sono molto più fragili di fronte alla povertà, non occupano neanche la metà delle posizioni di potere nonostante costituiscano più della metà della popolazione, soffrono molto di più a causa di violenza e precarietà, fanno i lavori peggiori e si fanno pieno carico di quelli che non vengono retribuiti in nessun modo: la cura e la casa. La pandemia minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. “Se non agiamo subito, il covid-19 potrebbe cancellare un’intera generazione di fragile progresso verso l’uguaglianza di genere”, ha avvertito questo giovedì il segretario generale dell’Organizzazione della Nazioni Unite (ONU), Antonio Guterres, in un discorso di fronte all’Assemblea Generale, che in questi giorni commemora l’anniversario.
Le prime stime di dati ancora disarticolati inquadrano quasi 435 milioni di donne povere nel 2021 (circa l’11% in più rispetto a se non ci fosse stata la pandemia), più carico di lavoro domestico e il rischio di perdere posizioni di comando all’interno di istituzioni e imprese. Di fronte a questi dati, secondo le stime dell’ONU appena il 12% dei paesi (25 in totale, tra i quali la Spagna) ha attivato misure specifiche per le donne durante la crisi.
La situazione era già chiara prima dell’esplosione del virus. Alla fine del 2019 l’ONU, l’Istituto Europeo di Uguaglianza di Genere (EIGE, con la sigla inglese) e l’Instituto de la Mujer nel caso della Spagna avevano elaborato estesi resoconti dei miglioramenti e dei deficit in 25 anni. “In generale i progressi non sono all’altezza di quello che gli Stati si erano promessi di fare nel 1995”, sottolinea l’ONU. “Devono fare di più”. Tra i miglioramenti, spiccano il calo di quasi il 40% in appena 2 decenni della mortalità materna e la quasi parità nell’educazione.
Tra le cose ancora da fare – l’EIGE stima che le misure incompiute siano circa l’80%, le atre istituzioni non offrono calcoli – c’è il rafforzamento delle donne in posti di responsabilità. Nel mondo solo un parlamentare su quattro è una donna. Comunque il doppio rispetto al 1995.
La violenza machista presenta ancora con cifre imbarazzanti: nell’ultimo anno una donna su cinque è stata vittima di aggressioni fisiche o sessuali da parte del partner, cifre che la quarantena ha peggiorato a causa della convivenza forzata di vittime e aggressori, secondo diverse istituzioni.
Ci sono miglioramenti, ma lo scenario globale non è incoraggiante e soprattutto risulta disomogeneo: non è lo stesso parlare di diritti riproduttivi in Polonia e in Svezia, né sono uguali i livelli di violenza. Per esempio, a Cuenca, Ecuador, secondo l’ONU negli ultimi 12 mesi il 90% delle donne hanno sofferto molestie sessuali di qualche tipo. Inoltre, i rischi non sono gli stessi per una donna razzializzata, migrante o con disabilità, e per un’europea di classe media.
In prima linea
“La pandemia ha un impatto molto profondo sulle donne”, valuta in una videochiamata Anita Bhatia, vicedirettrice esecutiva di ONU Donne. Bhatia ricorda che sono loro ad occupare la prima linea sanitaria nella lotta contro il virus – secondo l’ONU il 70% de* lavorator* sanitar* e di cura sono donne -. Sono la maggioranza anche in alcuni dei settori più colpiti: “Il turismo, i negozi o i viaggi sono settori molto femminilizzati. Il mondo non sta viaggiando né comprando”, avverte.
Già prima del coronavirus erano soprattutto le donne ad occuparsi della casa, e il confinamento le ha sovraccaricate ancora di più. Prima dedicavano 4,1 ore (contro l’1,7 degli uomini) a pulire, prendersi cura dei figli, fare da maestre, la spesa o cucinare. La sociologa e ricercatrice Ángeles Durán, grande teorica spagnola della cura, calcola: “Mentre eravamo confinat*, stimo che le donne abbiano aumentato di una media di tre ore il tempo in casa ogni giorno”.
“Mentre noi ci occupiamo della cura, loro si dividono il potere”
Secondo diversi calcoli, l’ottenimento dell’uguaglianza tarderà ad arrivare. Già nel 2017 il Foro Economico Mondiale diceva che occorrerebbe ancora più di un secolo. L’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere stima che, senza politiche che portino avanti cambiamenti, la parità nei Parlamenti Europei tarderà 55 anni, e nelle imprese fino a 190 anni. “Servono donne ai tavoli di negoziazione. Sono in prima linea contro la pandemia, ma non vengono ascoltate. È ingiusto. Difficilmente gli uomini possono mettersi nei panni di donne a capo di famiglie monoparentali, difendere i loro diritti riproduttivi o descrivere la violenza machista”, considera Jolanta Reingarde, coordinatrice di Ricerca e Statistica dell’EIGE.
Uno studio pubblicato ieri (giovedì 1 ottobre ndt) del quotidiano digitale BMJ Global Health sottolinea che con questa pandemia sta succedendo esattamente il contrario: sono gli uomini a parlare e a decidere. Solo il 3,5% degli organismi che prendono decisioni sul coronavirus sono paritari (con almeno il 45% dei membri uomini o donne). Solo in un caso su dieci c’è una maggioranza di donne. “Mentre noi donne ci occupiamo della cura, loro si dividono il potere e i Consigli di Amministrazione”, considera Soledad Murillo, ex segretaria di Estado de Igualdad e una delle responsabili del resoconto spagnolo sui risultati di Pechino. “La pandemia ha comportato una marcia indietro in tutti i sensi. L’attenzione della politica non è su questi temi. Siamo tornat* a contrassegnare differenze tra l’urgente e il necessario. E ora le politiche di uguaglianza non sono urgenti”, critica Murillo. Raccomanda al Ministerio de Igualdad “che si faccia attenzione ad applicare le politiche di uguaglianza tanto in proposte come l’Ingreso Minimo Vital (Salario Minimo Vitale) quanto nelle decisioni delle commissioni del Parlamento”. È ciò che si chiama “trasversalità” delle politiche di genere, un obbiettivo incluso a Pechino e ancora lontano dal realizzarsi.
L’ONU ha chiesto ai paesi di investire di più nella cura perché l’uscita da questa crisi sia differente. Durán prevede che, almeno in Spagna, non ci saranno soldi: “Sarà possibile solo se verrà considerato una priorità finanziaria. Dubito che passerà per paura di una recessione”. I suoi lavori evidenziano che professionalizzare questa rete significherebbe “creare” 28 milioni di lavori pagati, più che tutto il mercato del lavoro spagnolo.
“Non possiamo uscire da questa crisi senza un sistema di cura rinforzato”, ammettono fonti del Ministerio de Igualdad, che sta negoziando ora i Bilanci e la divisione di fondi europei con gli altri ministeri. “Vogliamo che il denaro che riceveremo venga usato per la cura, l’infanzia, tossicodipendenti, anziani e il pari diritto alla cura”, aggiungono dal ministero.
La violenza, “pandemia nell’ombra”
La preoccupazione per la violenza machista è universale. L’ONU ritiene che deva essere trattata come “una pandemia nell’ombra, un problema di salute pubblica come la malaria”, sottolinea Anita Bhatia. In Europa e in Spagna si teme peraltro l’effetto dei discorsi negazionisti dei partiti di estrema destra, come Vox. Il coronavirus ha comportato anche un’ulteriore difficoltà per l’accesso ai metodi contraccettivi e all’aborto, con un impatto “molto profondo” sulla vita delle donne, aggiunge Bhatia: “Non si può dire a una donna che vuole abortire ‘Torna tra sei mesi’”.
Se il vaccino sarà pronto a breve e il virus finirà, a luglio 2021 ci sarà un’altra conferenza mondiale sui diritti delle donne a Parigi e in Messico, che quest’anno è stata sospesa. Per allora è possibile che l’immagine fissa della situazione di più della metà della popolazione mondiale sia cambiata. Il lavoro dei Governi, le organizzazioni di donne e la società civile in questi mesi deciderà se questo cambiamento sarà in meglio o se gli effetti della pandemia ricadranno ancora di più su di loro.