La seconda parte dell’intervista a Silvia – a cura di Andrea Berta – che prova a dare un quadro complessivo su come la Repubblica Ceca stia affrontando l’emergenza sanitaria.
Quali sono le conseguenze per le persone più vulnerabili? Che tipo di misure sono state messe in atto?
Chiaramente tante persone sono rimaste senza lavoro. Le più “fortunate” sono costrette a sopravvivere con parte dello stipendio o con sussidi statali che non coprono nemmeno l’affitto, visto che negli ultimi circa cinque anni i prezzi degli affitti sono spesso quasi raddoppiati. Quindi in tanti si sono messi a cercare lavoretti alternativi, precari, temporanei. Esponendosi a situazioni di contagio o lavorando in condizioni precarie.
Anche per quanto riguarda le birrerie, i bar e simili gli organi statali hanno mostrato il pugno di ferro e nessun aiuto, con multe enormi a chi ha continuato a funzionare di nascosto per pochi affezionati. Molti miei amici baristi lavoravano in locali underground, i cui proprietari raramente si possono permettere di dare contratti come si deve e compensano il “disturbo” in via informale, con ottimi rapporti di amicizia e fiducia, reti di supporto, sconti e così via. Ora sono rimasti tutti senza lavoro, da un giorno all’altro.
Molte fabbriche e grandi supermercati invece sono rimasti funzionanti a pieno o limitato regime, catalizzando altre forze lavorative. È nata inoltre una piattaforma che si occupa del riposizionamento dei lavoratori specializzati ora inattivi verso altre aziende attive.
Gli sforzi e le iniziative per chiedere aiuti sociali per le classi più deboli per il momento sono arrivati principalmente dalle ONG, dagli attivisti e da altre forme associative più o meno formali. Chiedono sussidi alla disoccupazione immediati, anche per chi non ha diritto a certi sussidi in caso di stato di emergenza a causa di salari troppo bassi. Chiedono ulteriori aiuti per chi ha dovuto cessare le attività imprenditoriali. Chiedono alle municipalità di supportare chi rischia la perdita del domicilio o chi potrebbe per esso indebitarsi. È partita anche una petizione per chiedere il blocco degli obblighi di pagamento degli affitti per chi ne ha più bisogno. Inoltre si chiede di prestare attenzione al rischio di speculazione da parte di grandi investitori che potrebbero comprare gli immobili svalutati dalla crisi. Anche le esecuzioni agli indebitati sono un’enorme problema in Repubblica Ceca e si chiede perciò di fermarne le attività di riscossione. Si chiede un aumento dei sussidi assistenziali.
C’è stata un’ondata imponente di solidarietà e volontariato, soprattutto riguardo all’assistenza sanitaria e alla produzione di mascherine. Mentre i prezzi delle mascherine sanitarie sono saliti alle stelle non appena è iniziata la crisi, singoli cittadini e associazioni varie hanno prodotto un’infinità di mascherine di stoffa. Anche da questo punto di vista il governo è stato criticato, per lasciare alle mani del volontariato la produzione delle mascherine appunto. E senza una buona diffusione delle informazioni utili a un loro adeguato utilizzo.
A Praga, le case di accoglienza per i senzatetto sono state chiuse dalla municipalità. I consiglieri collaborano con le associazioni per trovare loro alloggio in stanze d’hotel a basso prezzo, pensioni o in camping. La città ha messo a disposizione quasi due milioni e mezzo di corone ceche a questo scopo, per il primo mese, ma ci sono ancora molte persone costrette a dormire in tenda, con temperature notturne ancora gelide e in condizioni igieniche chiaramente ridotte.
Eh, e a proposito di igiene…?
Oltre alla questione di come utilizzare le mascherine, che citavo sopra, mi viene in mente il caso distillerie.
Una distilleria relativamente piccola, la Žufánek, si è data alla produzione di gel disinfettanti e alla loro distribuzione a gratis, per esempio agli orfanatrofi. L’ufficio doganale ha denunciato il caso in quanto la produzione di disinfettante non rientrava nel deposito fiscale dell’azienda e infine hanno “perdonato” all’azienda quanto fatto ma le hanno vietato di continuare a farlo. Al che la risposta è stata che comunque non avevano più materiale per produrlo e che sperano che ora sia lo Stato ad occuparsene.
Ci vuole il permesso da tre ministeri diversi per produrre il disinfettante. Il direttore di un’altra distilleria che ha tentato di modificare il proprio sistema produttivo ha commentato: “Manco volessimo produrre armi nucleari”. Altre hanno aggirato la burocrazia in vari modi, per esempio distribuendo agli ospedali l’alcool non denaturato o vendendolo insieme alle istruzioni per prodursi il disinfettante in casa.
Ci sono state tuttavia distillerie ed altri tipi di aziende, di portata molto maggiore, che non hanno avuto problemi ad ottenere i permessi e hanno potuto dedicarsi alla conversione della loro produzione in gel disinfettanti da vendere e distribuire a negozi e ospedali. Lo Stato, per esempio, ha comprato e spedito ai Comuni i disinfettati della Preol, che fa parte della holding Agrofert e normalmente produce biocombustibili. E indovinate a chi fa capo la Agrofert? A Babiš, il primo ministro. Anche detto Babiškoni.
Curioso, “simpatico” è stato anche il caso del capo della polizia di Praga che ancora a fine gennaio, appena ha sentito il ministro della salute dire che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ha ordinato una gran quantità di protezioni, grazie alle quali ora i poliziotti della capitale girano per la città con furgoncini adibiti al prelievo del sangue per aiutare i medici a somministrare i test a chi ne ha bisogno.
Un‘altra questione è appunto quella dei test.
I laboratori statali non hanno sufficiente attrezzatura per realizzarli. C’è molta richiesta da parte di persone disposte a somministrarsi ad essi pagando privatamente, per quanto siano estremamente costosi, ma ciò è concesso in pochissime sedi in tutta la Repubblica e la richiesta non viene soddisfatta, per dare la precedenza ai casi con sintomi clinici.
Una dottoressa di un laboratorio privato (Tilia laboratories) ha proposto un test RT-PCR più economico da realizzare e ne ha offerto gratuitamente il know-how a chiunque sia interessato. Lei stessa però non può applicare il test nel suo laboratorio perché aspetta da settimane una concessione straordinaria dal Ministero della Salute, che nel frattempo ha preferito ordinare alla Cina dei test anticorpali (più rapidi, ma che possono non rilevare il virus nelle prime due settimane).
In molti altri casi sono arrivate proposte e offerte di supporto e materiali da parte di privati, ma lo Stato ha spesso reagito negativamente o col silenzio.
Com’è invece la situazione in Slovacchia?
Finora è uno dei Paesi europei con il minor numero di contagi, ma le restrizioni si stanno per fare più rigide, perché negli ultimi giorni sono aumentati più rapidamente i casi, in particolare in due focolai: una casa di cura e un borgo rom. Sì, non mi sembra per niente corretto chiamarli insediamenti o campi rom, soprattutto in Paesi come la Cechia e la Slovacchia, dove vivono da generazioni in pianta stabile.
Anche in questa situazione, poi, la presidentessa slovacca Zuzana Čaputová si sta rivelando degna di nota. Fa notare come la globalizzazione ci renda sotto alcuni aspetti molto vulnerabili, sotto altri più solidali. Cerca soluzioni alla crescente violenza domestica. Convoca gli esperti per valutare la situazione in corso. E nel frattempo il presidente ceco Miloš Zeman è “scomparso”.
Qual è, secondo te, la percezione della pandemia tra le persone comuni? Come viene vista?
La pandemia viene percepita da molti come uno shock esogeno, una minaccia esterna all’economia, di cui nessuno è responsabile. Ciò richiama alla solidarietà, ma oscura il ruolo del sistema economico globale nell’esordio e nella diffusione del virus.
Al contempo però c’è chi si è accorto di cos’è possibile fare in caso di crisi sistemica riguardante la salute pubblica e non sono mancati gli appelli degli attivisti per il cambiamento climatico e altre minacce ambientali, che hanno ribadito l’urgenza della crisi ecologica mondiale.
Come prevedi che si svilupperà in futuro la situazione?
Stanno per arrivare tutta una serie di allentamenti delle misure, in forma graduale.
Il viceministro della Salute, Prymula, ha annunciato, alla Johnson, che bisogna “immunizzare” la popolazione. Comunque sembra che si ammorbidiscano le misure soprattutto per smorzare gli effetti sull’economia e per “placare un po’ di animi”. Riapriranno alcune attività commerciali, soprattutto quelle “realizzabili” all’aperto, come i mercati ortofrutticoli o i cortili delle birrerie. Gli alunni all‘ultimo anno di scuola torneranno sui banchi, con alcune limitazioni. Il grosso comunque riaprirà a giugno, a quanto dicono adesso. Sempre che non peggiori di nuovo la situazione.
Credo che, in ogni caso, se si riusciranno a contenere i danni del contagio sarà soprattutto grazie alla cautela della popolazione, alle sue abitudini salutari e le frequenti gite in natura, all’arrivo dell’estate e al non così esagerato sovraffollamento degli ospedali. Sarebbe poi utile che togliessero questo limite delle due persone al massimo all’aperto. Per come stanno le cose qui, non fa che incentivare la gente a incontrarsi in casa, dove è difficile che arrivino i controlli della polizia ed è più facile che si passi il virus.