Si inaugura un nuovo anno accademico in pompa magna.
Un altro anno all’insegna dell’immobilismo e di false speranze date ad una generazione di studenti la cui vita è stata segnata dalla crisi pandemica che stanno ancora attraversando.
Durante questi due anni l’Università, perfettamente in linea con la gestione governativa della pandemia, ha lasciato indietro studenti e studentesse in difficoltà che sono state costrette ad abbandonare la città, contribuendo in questo modo al progressivo spopolamento dell’isola e della terraferma (problema che da sempre affligge Venezia) e riproducendo fedelmente il modello sociale, politico ed economico di stampo neoliberista.
Lo abbiamo sentito dire spesso ai telegiornali e nei dibattiti pubblici, dalla stessa Rettrice Lippiello in persona: la pandemia avrebbe dato modo di ripensare al nostro stile di vita e all’impatto dell’essere umano sui territori. Oggi siamo qui a chiederci in che modo l’Università abbia contribuito a questo processo e l’unica risposta che ci possiamo dare è che, se un contributo l’ha dato, è stato solo per forzare un ritorno alla stessa normalità che ha causato tutto ciò che ci sta distruggendo.
La rincorsa all’eccellenza e l’accumulo di crediti formativi sembra essere l’unico obiettivo che Ca’ Foscari offre agli studenti e alle studentesse, così da poter soddisfare le aspettative di un mondo ed un sistema produttivo che ha occhi solo per il profitto, che all’aumentare delle problematiche economiche, di salute mentale, fisica e sociale non fa altro che aumentare le tasse e abbassare i propri investimenti. Durante il primo lockdown nazionale, abbiamo assistito a un aumento sproporzionato delle tasse universitarie, mentre il peso della pandemia gravava sulle spalle delle nostre famiglie; due anni dopo, assistiamo a una riduzione progressiva delle borse di studio e delle indennità erogate da Ca’ Foscari, abbattendo il costo di queste da 33 milioni nel 2021 a 29 milioni nel 2023, riducendo quindi del 10% l’investimento dell’Università in questo tipo di risorse.
Tutto questo senza curarsi del disagio e il malessere profondo che ha toccato e tocca tutt’ora il mondo degli studenti.
Malessere psicologico accentuato dalla pandemia, ma che affonda le proprie radici nella spinta alla competizione strutturale del mondo accademico. Negli ultimi mesi abbiamo letto molti articoli che parlavano di una ripartenza cafoscarina all’insegna delle pari opportunità, della sostenibilità, e della promozione della cittadinanza studentesca. Ma siamo sicure che l’Università dia ai propri studenti i giusti strumenti per superare le innegabili disuguaglianze di genere del mondo accademico e lavorativo?
In perfetta sintonia con la volontà di sottostare alle regole del gioco neoliberista e capitalista, ci troviamo di fronte ad un’ istituzione che sponsorizza l’imprenditorialità femminile e incoraggia progetti che altro non fanno se non riprodurre fedelmente le dinamiche lavorative di sfruttamento neoliberale, scrivendo piani per l’uguaglianza di genere che altro non sono se non specchietti per le allodole, anche considerando che ad oggi le cattedre ordinarie sono occupate per il 72% da uomini, mentre il personale tecnico amministrativo è per la maggioranza femminile. Sarebbe necessario, forse, realizzare delle iniziative di contrasto al binarismo di genere e alle relative discriminazioni, piuttosto che proporre dei palliativi quali la carriera Alias (inefficace, ad oggi) o il progetto LEI.
Ma in che modo Ca’ Foscari si prepara ad essere “capitale studentesca” se gli unici piani di residenzialità che approva sono la costruzione ad altissimo impatto ambientale di nuove costosissime residenze, che anziché inserire gli studenti nel tessuto cittadino, contribuiscono a una sempre crescente alienazione dalla realtà sociale e politica dentro cui sono immersi? La neo inaugurata residenza di San Giobbe, ad esempio, è stata agli onori di cronaca per i numerosi problemi strutturali, che spaziano da ingenti perdite d’acqua al clima repressivo e intimidatorio generato da dubbie figure di sorveglianza.
In che modo Ca’Foscari promuove Venezia come capitale della sostenibilità se incoraggia corsi di studio e gite culturali a quel mostro ecologico che è il Mose, per altro in cambio di CFU aggiuntivi? O se intrattiene da anni accordi con multinazionali criminali e distruttive come Eni?
Non ci dimentichiamo di quando, l’anno accademico passato, Ca’ Foscari voleva abbattere il monoblocco dell’ex ospedale al Mare per convertirlo in un albergo di lusso, sede dove poi mandare gli iscritti del corso di Laurea in “Hospitality” a svolgere tirocini, vale a dire a lavorare gratis per la grande giostra del turismo di massa, che per noi giovani non crea altro che lavoro precario e incompatibile con le fragilità della laguna.
E a proposito di tirocini e stage non retribuiti, non possiamo non ricordare che, in meno di un mese, due studenti liceali sono morti durante le attività di alternanza scuola-lavoro. I licei, gli istituti e l’università ormai anziché formare persone libere e consapevoli, hanno la sola funzione di prepararle a un mercato del lavoro che opprime, ammala e ammazza. Le morti di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, non sono due incidenti di percorso o due tragedie, ma la diretta conseguenza di un sistema lavorativo che statisticamente produce più di tre morti sul lavoro al giorno.
A fronte di questi avvenimenti, l’Università non solo non ha speso alcuna parola, ma ha invece inviato delle email proprio ieri, ricordando che le offerte di stage e tirocini non si fermano, non si possono fermare, perchè fermarle significherebbe rallentare la grande macchina produttiva, unica che può offrire “preziose opportunità” (cit.), fatte di 30 ore settimanali, per sei mesi, da regalare a un sistema che si basa su tale sfruttamento.
E quindi l’università va avanti, com’è andata avanti di fronte alla morte di Giulio Regeni, alla carcerazione di Patrick Zaki, perchè prendere parola pubblicamente rispetto al malsano meccanismo che ha prodotto queste ingiustizie potrebbe mettere in discussione l’Università stessa, sempre più simile ad un’ azienda che ad un luogo dove formare saperi consapevoli.
Per tutti questi motivi, noi siamo qui oggi per dire che rifiutiamo questo modello di università, e che venerdì mattina scenderemo in piazza a fianco degli studenti e delle studentesse medie, per un mondo della formazione che dalle scuole all’università sia radicalmente diverso.
Ca’ Foscari cosa farà? scenderà in piazza con i suoi studenti o continuerà dalla sua torre d’avorio a credere che vada tutto bene?