L’azione segna la nascita del network “Rise Up for Climate Justice!” come esito del Climate Meeting svoltosi oggi, culmine dei quattro giorni del Venice Climate Camp, ospitato presso il centro sociale Rivolta a Marghera.
Al meeting hanno preso parte decine di associazioni, movimenti e comitati attivi su tutto il territorio nazionale, allargando lo sguardo alle cause prime del cambiamento climatico ed alle conseguenze della devastazione dei territori sacrificati sull’altare del profitto.
La bioraffineria di ENI rappresenta, secondo gli attivisti e le attiviste, l’esempio più esplicito del modello di sviluppo distruttivo che sta generando cambiamenti climatici e favorendo le pandemie come l’attuale di Covid-19. Inoltre, proseguono, la conversione in bioraffineria altro non è se non il passaggio alla “green economy”, estremo tentativo del sistema capitalista di rinnovarsi senza però rimuovere le caratteristiche di base: diseguaglianze, distruzione dei territori, ricerca della crescita continua anteposta alle necessità materiali delle persone.
La bioraffineria ENI venne già bloccata la mattina del 2 marzo 2019 da attivisti dei centri sociali del nordest, il blocco rimosso dalla polizia poche ora dopo.
Un lungo serpentone di persone in tuta bianca ha percorso gli spazi interni tra gli impianti di raffinazione: vernice e scritte contro i silos e tutte le strutture dell’area, compresi gli uffici centrali. Un segnale chiaro contro uno dei “mostri” dell’inquinamento globale e dei responsabili principali della crisi ecologica.
Innanzitutto è necessario rendersi conto di cosa sia Eni oggi e cosa sia Eni in Italia. Eni è una delle multinazionali del petrolio che anche messa a confronto con i propri peer, quindi con le altre grandi multinazionali, è tra quelle in fase di espansione. Quindi anche se ci sono i cambiamenti climatici, anche se in Italia c’è un movimento che chiede un cambio di rotta chiaro, Eni sta continuando ad esplorare nuovi pozzi, nuovi giacimenti, ed entra sempre di più in quello che è il settore dei combustibili fossili di frontiera (quindi dalle acque profonde all’artico).
In Nigeria si è trovata coinvolta in un caso di corruzione gigante, già da un anno è in corso il processo a Milano riguardante proprio questo caso che coinvolge sia Eni che Shell. L’obiettivo, per loro, per riuscire a mettere le mani sul giacimento più grande di petrolio e gas ancora da esplorare in Nigeria.
Si tratta di una società che sicuramente non vuole mollare il suo core business, ma allo stesso tempo inizia a fare delle promesse di cambiamento, quindi a parlare di ridurre l’impatto delle proprie attività ecc. Ma se si va a vedere che cosa intendono, ci rendiamo conto che stanno ancora nell’ambito delle soluzioni di mercato più false: dai progetti red+ a vari schemi di offsetting, tutti passi che ci dicono che è più che lontana dall’iniziare un cambiamento.
Gli attivisti e le attiviste sono rimasti all’interno dell’area della Bioraffineria per circa due ore. Silos, torri, impianti e edifici sono stati sanzionati con vernice e scritte. Tra queste campeggia una scritta gigantesca che riporta «Rise up for climate justice», il nome dello spazio politico appena nato al Climate Meeting.
Per cui sicuramente in Italia chiunque abbia a cuore il tema dei cambiamenti climatici deve iniziare a fare i conti con Eni, e deve quindi iniziare a fare i conti con una società che pesa tremendamente sul futuro dell’Italia e non è una risorsa per noi che invece desideriamo un cambiamento reale del sistema economico.