Mads Mikkelsen brilla magnificamente nell’avvincente epopea storica di Nikolaj Arcel, il regista danese e la star di “A Royal Affair”, candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 2013, si riuniscono in questo western nordico che racconta di un militare di bassa leva deciso a coltivare le selvagge lande dello Jutland sfidando le avversità.
“Bastarden” titolo originale, “The Promised Land” in versione internazionale, con un titolo meno seducente che cerca di ammansire – almeno di primo acchito – l’agguerrito dramma storico, in cui temi come classe, razzismo, abuso sessuale, sfruttamento del lavoro tessono il filo narrativo, senza sfociare nella stucchevolezza.
Attingendo da fatti storici, ma impreziosito da un romanticismo da libro delle fiabe e da una malvagità da cartone animato, questo film in concorso a Venezia racconta la storia del capitano dell’esercito Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen), realmente esistito nel XVIII secolo, uno stoico uomo di origini povere, che ha sfidato le consuete prospettive della sua classe sociale per scalare i ranghi militari grazie alla sua tenacia. Dopo aver lasciato l’esercito, Kahlen chiede il permesso di costruire un insediamento agricolo nella brughiera, chiedendo un titolo nobiliare in caso di successo. Deridendo il “soldato presuntuoso in un’uniforme piena di pulci” e certi di non dover onorare la loro parte dell’accordo, i cortigiani che amministrano la Tesoreria Reale accolgono la sua richiesta, ignari che Kahlen ha fatto i conti con “la brughiera che non può essere addomesticata” e ha già la soluzione, conosce una coltura resistente che potrebbe crescere in questo terreno ostile. È una novità, viene dalla Germania e si chiamano patate.
Come nelle migliori trame ecco che spunta l’antagonista “formidabile”- il vicino nobile Frederik De Schinkel (Simon Bennebjerg), che mosso da invidia reclama la proprietà di quella terra, incuneando la trama nel classico duello tra il bene e il male ma allo stesso tempo evitando la rivisitazione della “Casa nella prateria” in salsa danese.
Grazie alla sua ambientazione – girato in gran parte nella Repubblica Ceca -, alle scelte scenografiche e alla robusta colonna sonora orchestrale di Dan Romer, “Bastarden” riempie lo schermo, immergendo lo spettatore in un western nordeuropeo il cui sembra che i colori autunnali siano presenti tutto l’anno, allo stesso tempo Nikolaj Arcel rimane fedele ad una sorta di cinema d’altri tempi rincorrendo una frontiera senza legge, combattimenti di spade e un gruppo di cattivi deliziosamente malvagi.
Ma ciò che da maggiormente forza a questa storia – oltre ad una serie di nozioni estremamente interessanti sulla coltivazione delle patate – è che sappiamo fin dall’inizio che Ludwig si è posto degli obiettivi ai quali, costi quello che costi, non è disposto a rinunciare: è la sua arma a doppio taglio, che evidenzia come il duro lavoro e l’onestà non sono sempre ricompensati.
“Bastarden” è una maratona di infinita cupezza il cui tema però – andando oltre le spade, il sesso e i raccolti primaverili – è quello della fragilità umana, ponendo l’accento anche su come i poveri non avevano alcuna possibilità di riscatto con i ricchi, in cui gli stranieri erano visti come pericolosi, persino demoniaci e perseguitati di conseguenza, e in cui chi aveva il potere poteva decidere quale fosse la legge da applicare di fronte a qualsiasi evenienza o capriccio.
E ancora oggi, nulla di tutto ciò, ovviamente, è passato.