Venezia81 – “Beetlejuice Beetlejuice”, la recensione del sequel gioiosamente macabro di Tim Burton

È cominciato ieri, e durerà fino al 7 settembre, il più importante festival di cinema italiano ed il secondo più importante al mondo dopo Cannes. Parlo della Mostra del Cinema di Venezia, che dopo le edizioni un po’ scariche in ripresa dalla pandemia e dallo sciopero dello scorso anno delle produzioni hollywoodiane, sembra che abbia preso una mano vincente in questa 81esima edizione. 

I turisti continuano – ahimè forse in numeri un po’ eccessivi – a calpestare il ponte di Rialto, mentre le star del cinema internazionale tornano finalmente al Lido. Regalano – almeno a chi la vive – una sorta di tregua che allontana ancora un po’ la fine dell’estate – non certo per le temperature sia chiaro. 

L’attesa spasmodica, ansiosa e gioiosa del giorno di festa è quasi meglio del giorno di festa in sé, che passa in fretta e quando la Laguna si trasforma nella capitale mondiale del Cinema ecco che il post summer blues si congela, allontanando l’immagine delle spiagge che si svuotano, le giornate che si accorciano e le vacanze che finiscono.

Per dieci giorni una giostra continua di scoop, red carpet, polemiche, rituali annessi darà del filo da torcere a stampa e maestranze dello spettacolo: ventuno i film in concorso – di cui cinque italiani – che possono ambire al Leone d’oro che sarà assegnato dalla giuria guidata da Isabelle Huppert. 

Cinque registe donne – di cui due italiane – su ventuno partecipanti, un incremento rispetto all’anno precedente, ma non ancora abbastanza. Le percentuali del resto rimangono impietose, la strada è ancora lunga. Ci sono i biopic, si parlerà di diritto all’aborto e di dittatura, i temi trattati vanno dalla guerra, al lavoro, i diritti, le lotte delle donne, l’avanzata delle nuove destre – a livello internazionale – e l’ombra oscura di Trump. Verrà messa in scena la guerra, la disfatta e le sue conseguenze.

Ad aprire i battenti e con questi la Sala Darsena l’attesissimo Beetlejuice Beetlejuice, il sequel del già famoso horror-comedy diventato poi un cult, se non uno tra i film più noti di Tim Burton, che trentasei anni dopo riesce incredibilmente ad ammodernare un classico degli anni ’80.

Presentato in anteprima mondiale a Venezia, uscirà nelle sale italiane il 5 settembre distribuito da Warner Bros, la trama fa un salto temporale in avanti recuperando però ciò che aveva lasciato in sospeso dal passato e riporta in scena la Lydia Deetz di Winona Ryder, ora conduttrice di un programma televisivo sul paranormale chiamato Ghost House e madre dell’angosciata adolescente Astrid (Jenna Ortega). Quando suo padre, Charles, muore, tre generazioni di donne Deetz, compresa la matrigna di Lydia, Delia (Catherine O’Hara), tornano alla casa di Winter River per rendergli omaggio. 

Le figure femminili hanno grande centralità, oltre le donne Deetz, viene inserita nella trama il fantasma succhia-anime Delores (Monica Bellucci) ex sposa di Beetlejuice, da lui abbandonata sull’altare e barbaramente uccisa, e in un certo senso fanno da contralto ai personaggi maschili che sono perlopiù i “cattivi” della storia.

Lo “spiritello porcello” (Michael Keaton) ha ora un lavoro d’ufficio nel mondo sotterraneo, una burocrazia da incubo popolata da anime perse con al corredo una varietà di mutilazioni fantasiosamente raccapriccianti. Torna dalla morte – o meglio è ancora morto, ma comunque torna – quando Rory (Justin Theroux), il fidanzato approfittatore di Lydia Deetz, il cui chignon e i cui discorsi new age indicano immediatamente che è un tipo sbagliato, lo richiama quasi per sfida. A dargli la caccia il detective Willem Dafoe, un fantasma cyborg che incarna tutti i cliché dello sbirro americano anni ‘70 – occhiale a goccia specchiato compreso.

Tim Burton ha dichiarato in conferenza stampa che questo film l’ha fatto per sé stesso, in un momento in cui stava cercando di superare la disillusione per il mondo cinematografico. Tornare in apertura alla Mostra del Cinema è un grande incentivo, soprattutto di fronte a un cast che ha dimostrato di essere davvero affiatato. Il neo sta nella trama iper complessa che, nel mischiare il mondo dei vivi con quello dei morti, infarcisce la trama di ancora più cose (oltre che personaggi), dai vermi di sabbia che ricordano Dune, al treno per l’aldilà che richiamano i musical di Broadway, al grande albero solitario che richiama Le ali della libertà

Il risultato è comunque piacevole, ma senza aggiungere particolari novità alla bellissima trama del 1988, risultando un simpatico esercizio di nostalgia, quasi una gita nei vecchi luoghi di ritrovo; allo stesso tempo c’è un ritorno dei guizzi geniali del regista che crea una grande scatola di caos e presenta una sequenza di raccapriccianti e divertenti incisi che sono un classico della vecchia scuola di Burton. 

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