Il dibattito è stato promosso dalla campagna Per il clima fuori dal fossile, che aggrega varie realtà impegnate nella difesa dei propri territori dalle grandi opere inutili e dannose, in particolare quelle relazionate all’estrazione di combustibili fossili.
La discussione si è aperta con il contributo di Mattia Donadel del comitato Opzione Zero. Mattia ha sottolineato come, per affrontare l’urgenza della transizione energetica, sia necessario tenere assieme la dimensione conflittuale di negazione dell’esistente e quella propositiva di costruzione di alternative che comincino nell’immediato per sospingere una transizione sociale ed economica più ampia. La resistenza ambientale e la costruzione di spazi autonomi sono quindi due percorsi che devono intrecciarsi e procedere assieme, come già succede in molti movimenti nel mondo.
Il piano Energia e Clima 2030 in Italia prospetta solo una transizione dal carbone a un altro combustibile fossile, ovvero il metano. Si tratta di una proposta vecchia e pericolosa, essendo il metano un gas che contribuisce significativamente all’aumento di concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Inoltre, anche quella del metano è una gestione centralizzata e monopolizzata dai grandi gruppi, in Italia soprattutto Eni ed Enel, e quindi saldamente interna alla logica del capitale.
Per quanto riguarda le alternative reali, ci sono già molte esperienze di democratizzazione della produzione di energia. In Italia, il settore residenziale è responsabile di un terzo delle emissioni. Se i sussidi attualmente esistenti venissero spesi in politiche per rendere le abitazioni energeticamente autonome, otterremmo una diminuzione del 30% delle emissioni. Inoltre, per molte unità abitative ciò significherebbe un aumento di reddito e di indipendenza nei confronti dei colossi energetici, sottraendo potere a questi ultimi.
Oggi, approfittando della pandemia, il governo sta cogliendo l’occasione per passare una serie di provvedimenti – come l’approvazione di grandi opere e del Decreto Semplificazioni – che vanno nella direzione opposta a quella da noi voluta. Per questo è necessario costruire un contropotere fatto di spazi di autonomia anche energetica. Per esempio, il Cs Rivolta che sta ospitando il Climate Meeting ha un impianto fotovoltaico di entità significativa che offre possibilità in questo senso.
È seguito l’intervento di Renato De Nicola della campagna Per il clima, fuori dal fossile. Renato ha sottolineato come il Decreto Semplificazioni appena approvato dal parlamento abbia cercato di dar mano libera al mercato e regalare alle multinazionali petrolifere più spazi di manovra. Il governo è quasi caduto sul decreto ma è stato salvato dai voti di Forza Italia e Lega, che l’hanno votato a causa dei chiari interessi a cui rispondono.
Tuttavia, le pressioni esercitate dalla campagna sono riuscite a far cadere alcuni punti del decreto tra i più problematici, dimostrando così che è possibile ottenere dei risultati anche nelle difficili condizioni create dalla pandemia. Sono stati per esempio tutelati gli usi civici, molto importanti perché coinvolgono proprio le zone in cui devono passare importanti grandi opere. Questo ha fermato per esempio i progetti della Snam negli Appennini. Sono anche stati difesi i tempi che i cittadini hanno per fare ricorso in tribunale contro l’approvazione di grandi opere, che il governo voleva accorciare. Tuttavia, è passata la liberalizzazione della possibilità di stoccare idrogeno anche in mare, col rischio di trasformare l’Italia in un hub continentale di stoccaggio di idrogeno.
Le parziali vittorie dei movimenti si basano su spazi, i territori, in cui i cittadini cominciano a lottare, spesso a partire da problemi concreti e immediati legati alla dimensione locale. Ma attraverso questo passaggio è possibile arrivare alle questioni globali sul ruolo del capitalismo nel cambiamento climatico. I risultati immediati sono ciò che serve per crescere su ampio raggio.
Nonostante i risultati positivi, le industrie inquinanti hanno una forte egemonia, tanto che ci sono lavoratori impiegati per esse che ritengono “meglio morire di cancro che di fame”. A Ravenna, per esempio, i sindacati e l’Eni hanno manifestato assieme per i posti di lavoro. I sindacati hanno anche difeso alcuni provvedimenti dannosi contenuti nel Decreto Semplificazioni. Ma quando le nocività si abbattono sui loro territori, anche i lavoratori delle industrie nocive sono spesso coinvolti dalle problematiche ambientali. Non si può far finta che non esistano oggi tensioni fra ambiente e lavoro, quindi bisogna affrontare il tema coinvolgendo i lavoratori.
La relazione conclusiva è stata quella di Sara Capuzzo, presidente della cooperativa Ènostra, attiva nel campo della produzione di energia rinnovabile ed etica. La cooperativa si pone l’obiettivo di contribuire a produrre e distribuire energie rinnovabili che non siano “rinnovabili sporche”, ovvero non realmente sostenibili oppure socialmente dannose, come nel caso delle infiltrazioni mafiose. Ènostra, per esempio, non acquista energia da impianti fotovoltaici realizzati su terreni agricoli o contro la volontà delle comunità locali. Il suo operato vuole inoltre contrastare la povertà energetica rendendo l’energia più accessibile attraverso progetti di autoproduzione e autoconsumo collettivi radicati nei territori. Usare energia rinnovabile non solo riduce le emissioni di gas serra ma anche l’inquinamento dell’aria.
Un concetto importante è quello di “cittadinanza energetica”, ovvero la possibilità dei cittadini di produrre e consumare energia autonomamente, tramite impianti collocati negli stessi spazi di residenza. Alcune ricerche mostrano come ci siano le possibilità tecniche per far sì che questo diventi il principale metodo di produzione di elettricità a scopo residenziale. Se le risorse per la realizzazione degli impianti sono reperite negli stessi territori d’uso, anche i benefici vengono redistribuiti localmente, permettendo quindi di uscire dalla logica dell’estrattivismo energetico.
La transizione energetica dev’essere accessibile, democratica equa e solidale, tutelando dal basso i diritti delle categorie più deboli. In questo, i comitati contro le grandi opere possono avere un ruolo importante grazie al radicamento che hanno già nei territori. Essi possono farsi carico della necessità di respingere gli interessi delle grandi aziende su un metodo produttivo che può comunque essere economicamente interessante per queste ultime. L’obiettivo è quello di favorire la transizione energetica e mitigare allo stesso tempo la povertà energetica, rivitalizzando le comunità tramite beni comuni, inclusione e scambi mutualistici, come si sta tendando di fare nei progetti pilota a Padova e a Biccari in provincia di Foggia.
L’emergenza Covid-19 ha aperto anche alcune potenzialità per muoversi in questa direzione. La quarantena ha portato molte e molti a riscoprire l’autoproduzione e le filiere corte e ha diffuso pratiche locali di solidarietà mutualista. Il potenziale politico è alto perché la decentralizzazione della produzione energetica depotenzierebbe fortemente il dominio delle multinazionali energetiche, incidendo quindi sui rapporti di forza esistenti.
Il dibattito è proseguito con interventi dal pubblico, tra cui quelli di No Pfas Padova e No Tap Brindisi. L’intervento No Pfas ha sottolineato la necessità del conflitto politico per far fronte alla reazione delle multinazionali energetiche qualora vedessero il proprio monopolio seriamente minacciato, osservando anche come molte iniziative di sostenibilità siano state addomesticate dalla sussunzione capitalista. Il comitato No Tap di Brindisi ha portato le proprie proposte per la tutela del reddito dei lavoratori che verranno licenziati a causa della conversione delle centrali a carbone della città in impianti a gas, sottolineando come questa transizione sia insufficiente sia sotto il profilo ambientale che sotto quello dei diritti sociali. Il dibattito si è concluso ribadendo la necessità di costruire conflitto e alternative di pari passo, superando i particolarismi locali per intrecciare le lotte su più livelli scalari.